Marketplace, perchè è partita la rivoluzione contro i resi gratis?

Negli ultimi anni, sempre più persone hanno sperimentato la comodità degli acquisti online, tanto da diventare clienti fedeli di questa modalità di shopping. Però questa abitudine ha generato un fenomeno problematico: il reso compulsivo. La tendenza di acquistare diversi taglie e colori di uno stesso capo, con l’intenzione di restituire quelli non graditi a costo zero, ha prodotto una situazione insostenibile sia dal punto di vista economico sia ambientale.

Il cambiamento ha preso il via nel Regno Unito

Il Regno Unito sembra essere in prima linea in questa rivoluzione dei resi. Secondo il New York Post, 8 venditori online su 10 hanno introdotto commissioni per la restituzione degli articoli. Zara è stata una delle aziende pioniere, addebitando 1,95 sterline per i resi attraverso punti di consegna di terze parti. Questa politica si sta diffondendo anche negli Stati Uniti, con aziende come Zara, Macy’s, Abercrombie & Fitch, J. Crew ed H&M che impongono commissioni fino a 7 dollari per i resi postali.

La situazione in Italia 

A oggi, l’Italia e gli altri Stati europei non sono stati ancora toccati dalla politica dei resi a pagamento. Tuttavia, già adesso, alcune aziende come Zara richiedono pagamenti per il ritiro a domicilio, evidenziando la possibilità che questa tendenza si diffonda anche nel nostro paese. H&M offre resi gratuiti solo per i membri, mentre impone una tariffa di 2,99 euro per gli altri acquirenti.

Il problema del reso compulsivo e il fenomeno bracketing

Il reso compulsivo ha creato un problema insostenibile, noto come “bracketing”. Si tratta dell’abitudine dei consumatori ad acquistare in grandi quantità e a restituire poi gli articoli indesiderati  senza pensare alle conseguenze economiche e ambientali. Secondo la National Retail Federation, il 17% della merce totale comprata negli Stati Uniti nel 2022 è stato restituito, causando enormi perdite finanziarie per le aziende.

Sostenibilità ed economia

Il reso gratuito si rivela insostenibile sia dal punto di vista ambientale sia economico. Ogni reso richiede trasporti, controllo, riparazione e riconfezionamento, generando costi elevati per le aziende. Secondo Inmar Intelligence, i rivenditori spendono 27 dollari per gestire il reso di un articolo da 100 dollari, e le aziende perdono circa il 50% del loro margine sui resi. La fine del reso gratuito è quindi una misura necessaria sia per la sostenibilità ambientale sia per la stabilità economica delle imprese.

Responsabilità sociale e ruolo dei consumatori

La fine del reso gratuito è una chiamata alla responsabilità verso tutti i componenti della società. Le nuove normative europee stanno cercando di spingere le aziende verso una maggiore trasparenza e sostenibilità, ma al momento la legislazione in merito è ancora insufficiente. La sfida ambientale può essere vinta solo con l’impegno sinergico di tutte le parti sociali, compresi i consumatori. La fine del reso gratuito non solo indica un cambiamento necessario, ma invita anche a una maggiore consapevolezza e responsabilità nell’approccio agli acquisti online.