Categoria: Marketing

Il CV perfetto nel 2024: un mix tra Intelligenza Artificiale e… umanità

Quelli che stiamo vivendo sono anni di grandi cambiamenti, su tutti i fronti. Non fa eccezione il mondo del lavoro, che negli ultimi anni ha visto l’insorgenza di un fenomeno molto particolare: le grandi dimissioni. Qualche dato recente: nel 2022 si sono registrate in Europa 2 milioni e 200 mila dimissioni, delle quali ben 529 mila contabilizzate solo nell’ultimo trimestre.

Si tratta di un aumento di 86 mila unità rispetto allo stesso periodo nel 2019. A queste poi si aggiungono oltre 300 mila dimissioni nel primo trimestre del 2023, raggiungendo il totale di 829 mila unità in sei mesi. 

Cambia la ricerca di lavoro e la selezione dei candidati

A questa tendenza se ne unisce poi un’altra, recentissima: l’espansione dell’Intelligenza Artificiale. Il ricorso sempre più esteso all’IA ha portato grandi trasformazioni negli strumenti a disposizione di chi cerca e di chi offre lavoro.

Amanda Augustine, consulente sulla carriera di CVapp, piattaforma di editing online per la creazione di curriculum vitae, sottolinea che tecnologie come l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico nell’ultimo anno hanno rivoluzionato il mondo degli affari. Queste influenzano sia la selezione di talenti da parte delle aziende e dei recruiter, sia il modo con cui i professionisti cercano nuove opportunità lavorative. 

Strumenti digitali per ricerche mirate

Nel 2024, si prevede un aumento del ricorso a strumenti basati sull’intelligenza artificiale da parte di recruiter e candidati per migliorare l’efficienza nelle ricerca e domanda di lavoro. Come riferisce Askanews, piattaforme specifiche permetteranno ai candidati di mettere alla prova le loro abilità attraverso simulazioni di colloqui, così come di ricevere feedback quasi istantanei, riducendo il tempo necessario per aggiornare il curriculum.

Il fattore umano resta cruciale

Nonostante l’emergere di tecnologie sempre più evolute, anche il fattore umano continua a rivestire un ruolo cruciale.  Per redigere un curriculum vitae efficace, è necessario saper mettere il luce le competenze, i risultati ottenuti in esperienze lavorative precedenti e le skills. Per un CV che possa emergere, l’esperta consiglia di evitare layout troppo originali, ma di optare per un documento con intestazioni chiare e un linguaggio semplice. È essenziale evidenziare le qualifiche raggiunte, ma evitando caratteri troppo personalizzati o immagini.

Anche se l’IA può aiutare nella stesura del CV, non è possibile farvi totalmente affidamento: senza una revisione attenta, un curriculum generato dall’intelligenza artificiale potrebbe apparire poco autentico o sciatto. Nonostante l’automazione, il fattore umano è fondamentale.

Incidenti informatici causati dal fattore umano? Spesso sono intenzionali

Gli incidenti informatici derivanti dal “fattore umano” sono comunemente associati a errori involontari dei dipendenti, ma spesso si trascura un elemento più significativo: il comportamento intenzionalmente dannoso del personale. Un recente studio di Kaspersky ha rivelato che negli ultimi due anni, il 77% delle aziende globali ha affrontato incidenti informatici, di cui il 20% è stato causato da comportamenti volontari da parte dei dipendenti.

Gli errori sono in aumento

Esaminando il “fattore umano”, che può avere impatti negativi sulle prestazioni aziendali, si identificano diversi elementi, dai normali errori dei dipendenti all’errata allocazione del budget da parte dei decisori aziendali. Le azioni dolose del personale emergono come uno dei fattori più rilevanti, spesso trascurati. Secondo lo studio di Kaspersky, nel biennio considerato, il 20% delle aziende a livello mondiale ha subito incidenti informatici a causa di comportamenti illeciti a scopo personale da parte dei dipendenti.

Il caso Tesla

Un esempio concreto è il caso dell’azienda Tesla, dove due ex dipendenti hanno divulgato nomi, indirizzi, numeri di telefono ed e-mail di oltre 75.000 attuali ed ex dipendenti. Questo incidente è stato notificato alle autorità di regolamentazione del Maine il 18 agosto, dopo che la società aveva appreso della violazione il 10 maggio attraverso un’indagine interna avviata in seguito a segnalazioni da parte dell’organo di stampa tedesco Handelsblatt.

Il rischio delle minacce interne

Le minacce interne, intenzionali e non intenzionali, rappresentano un rischio significativo per le aziende. Le minacce non intenzionali derivano da errori dei dipendenti, come cadere in trappole di phishing o inviare informazioni riservate alla persona sbagliata. Al contrario, le minacce intenzionali sono attuate da personale malintenzionato che agisce deliberatamente contro il proprio datore di lavoro. Questi insider malevoli hanno conoscenze specifiche dell’infrastruttura aziendale, utilizzando il social engineering e agendo per ottenere guadagni economici o per vendetta.

Perchè i dipendenti “sbagliano” volontariamente

I motivi che spingono i dipendenti a compiere azioni dannose includono il guadagno economico, la vendetta in seguito a licenziamenti, la insoddisfazione lavorativa o il desiderio di danneggiare l’azienda. La collaborazione tra insider e attori esterni è un altro scenario rischioso. Per mitigare queste minacce, è essenziale che le aziende implementino sistemi di sicurezza informatica aggiornati e trasparenti, utilizzando soluzioni di protezione avanzate, protocolli di sicurezza intelligenti e programmi di formazione per il personale IT e non IT. Prodotti specifici possono rivelare e prevenire attività sospette da parte di insider o attori esterni, contribuendo a garantire la sicurezza dell’infrastruttura aziendale.

Marketplace, perchè è partita la rivoluzione contro i resi gratis?

Negli ultimi anni, sempre più persone hanno sperimentato la comodità degli acquisti online, tanto da diventare clienti fedeli di questa modalità di shopping. Però questa abitudine ha generato un fenomeno problematico: il reso compulsivo. La tendenza di acquistare diversi taglie e colori di uno stesso capo, con l’intenzione di restituire quelli non graditi a costo zero, ha prodotto una situazione insostenibile sia dal punto di vista economico sia ambientale.

Il cambiamento ha preso il via nel Regno Unito

Il Regno Unito sembra essere in prima linea in questa rivoluzione dei resi. Secondo il New York Post, 8 venditori online su 10 hanno introdotto commissioni per la restituzione degli articoli. Zara è stata una delle aziende pioniere, addebitando 1,95 sterline per i resi attraverso punti di consegna di terze parti. Questa politica si sta diffondendo anche negli Stati Uniti, con aziende come Zara, Macy’s, Abercrombie & Fitch, J. Crew ed H&M che impongono commissioni fino a 7 dollari per i resi postali.

La situazione in Italia 

A oggi, l’Italia e gli altri Stati europei non sono stati ancora toccati dalla politica dei resi a pagamento. Tuttavia, già adesso, alcune aziende come Zara richiedono pagamenti per il ritiro a domicilio, evidenziando la possibilità che questa tendenza si diffonda anche nel nostro paese. H&M offre resi gratuiti solo per i membri, mentre impone una tariffa di 2,99 euro per gli altri acquirenti.

Il problema del reso compulsivo e il fenomeno bracketing

Il reso compulsivo ha creato un problema insostenibile, noto come “bracketing”. Si tratta dell’abitudine dei consumatori ad acquistare in grandi quantità e a restituire poi gli articoli indesiderati  senza pensare alle conseguenze economiche e ambientali. Secondo la National Retail Federation, il 17% della merce totale comprata negli Stati Uniti nel 2022 è stato restituito, causando enormi perdite finanziarie per le aziende.

Sostenibilità ed economia

Il reso gratuito si rivela insostenibile sia dal punto di vista ambientale sia economico. Ogni reso richiede trasporti, controllo, riparazione e riconfezionamento, generando costi elevati per le aziende. Secondo Inmar Intelligence, i rivenditori spendono 27 dollari per gestire il reso di un articolo da 100 dollari, e le aziende perdono circa il 50% del loro margine sui resi. La fine del reso gratuito è quindi una misura necessaria sia per la sostenibilità ambientale sia per la stabilità economica delle imprese.

Responsabilità sociale e ruolo dei consumatori

La fine del reso gratuito è una chiamata alla responsabilità verso tutti i componenti della società. Le nuove normative europee stanno cercando di spingere le aziende verso una maggiore trasparenza e sostenibilità, ma al momento la legislazione in merito è ancora insufficiente. La sfida ambientale può essere vinta solo con l’impegno sinergico di tutte le parti sociali, compresi i consumatori. La fine del reso gratuito non solo indica un cambiamento necessario, ma invita anche a una maggiore consapevolezza e responsabilità nell’approccio agli acquisti online.

Digital Services Act, cosa è il nuovo regolamento Ue per le piattaforme online?

Dal 25 agosto 2023 è entrato in vigore il Digital Services Act, il nuovo regolamento emanato dall’Unione Europea per disciplinare l’ambiente digitale e contrastare l’anarchia sul web, includendo misure di protezione della privacy e dei minori. L’obiettivo principale di tale normativa è creare un ambiente digitale sicuro e affidabile sulle grandi piattaforme, dove i diritti dei consumatori siano tutelati in linea con il principio che ciò che è illegale offline debba esserlo anche online. Le piattaforme digitali saranno tenute a garantire maggiore sicurezza ai consumatori, a difendere i loro diritti, a combattere la diffusione di contenuti illegali e disinformazione, oltre a stabilire norme chiare e responsabilità delle piattaforme stesse.

Un pacchetto normativo valido in tutta Europa

Le leggi sui servizi digitali (DSA) e sul mercato digitale (DMA) costituiscono un pacchetto normativo unificato che si applica in tutta l’Unione Europea e ha due obiettivi principali: creare uno spazio digitale più sicuro per tutelare i diritti fondamentali degli utenti digitali e creare condizioni paritarie per promuovere innovazione, crescita e competizione sia nell’Unione Europea che globalmente.
Tra gli obblighi introdotti dal Digital Services Act, vi è l’implementazione di sistemi di segnalazione dei contenuti illegali che le piattaforme devono esaminare e, se necessario, rimuovere rapidamente. Sarà vietato utilizzare dati sensibili dell’utente, come origini etniche, opinioni politiche e orientamenti sessuali, per mostrare annunci pubblicitari mirati.

Obiettivo protezione degli utenti, specie i minori

Le nuove misure si concentrano particolarmente sulla protezione degli utenti online, con un’attenzione speciale ai minori, affrontando i rischi sistemici e moderando i contenuti. Inoltre, agli utenti europei dei social network dovrebbe essere offerta nuovamente l’opzione di visualizzare i contenuti in ordine cronologico anziché basati su algoritmi.

Le piattaforme coinvolte e le reazioni

Scaduto il termine di adattamento, il Digital Services Act dovrà ora essere rispettato da tutte le piattaforme online con almeno 45 milioni di utenti attivi al mese, tra cui Amazon Store, AppStore, Booking, Facebook, Google, Instagram, LinkedIn, TikTok, Twitter (ora chiamato “X”), Wikipedia, YouTube e Zalando.
Mentre Meta ha risposto positivamente creando un “Centro di Trasparenza” con informazioni sugli algoritmi utilizzati, Amazon ha presentato ricorso alla Corte di giustizia dell’UE per annullare la decisione che l’ha classificata come grande piattaforma online con obblighi aggiuntivi, come il monitoraggio di contenuti di odio e disinformazione. Anche Zalando ha presentato un ricorso simile.

Cosa succede in caso di mancato rispetto

Le piattaforme che violeranno le regole del Digital Services Act, nonostante il rispetto delle richieste di adeguamento, saranno soggette a multe fino al 6% del loro fatturato annuo e, in caso di recidiva, potrebbero subire il divieto di operare nell’Unione Europea.

In Italia le aziende non sono ancora pronte per ChatGPT

I dipendenti italiani considerano la possibilità di utilizzare in ambito lavorativo strumenti di Intelligenza artificiale come ChatGPT, ma oltre il 40% non sa come funzioni l’elaborazione delle informazioni. Inoltre, la maggior parte chi utilizza l’AI non dà grande importanza ai problemi legati alla privacy e alla veridicità dei contenuti. Secondo la ricerca di Kaspersky, ‘ChatGPT, alleato o nemico in ambito lavorativo?’, condotta su 1.000 dipendenti italiani tra i 18 e i 55 anni, il 53% del campione prende infatti in considerazione l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale in ambito professionale, ma solo poco meno del 10% ne sta già sfruttando le potenzialità.

Un valido aiuto nella creazione, revisione e traduzione di testi

L’AI, e in particolare ChatGPT, rappresenta uno degli esempi più attuali di innovazione tecnologica applicata ai modelli linguistici. ChatGPT è diventato popolare in pochissimo tempo, e la sua implementazione in ambito lavorativo è una grande opportunità. Ma solo se utilizzato nel rispetto delle linee guida aziendali e delle policy di sicurezza, altrimenti rappresenta un rischio per la privacy dei dati. Di fatto, quasi la metà del campione concorda sul fatto che ChatGPT possa essere un valido aiuto nella creazione, revisione e traduzione di testi (48%), così come per annotazioni rapide, appunti presi durante le riunioni o riassunti (46%).  Rimangono invece ancora meno sfruttate attività come sviluppare e migliorare altre applicazioni di IA, come i chatbot (16%) o addirittura la scrittura di codice sorgente (9%).

Ma come funziona? Solo il 13% lo sa

Circa il 57% dei dirigenti o responsabili non è però a conoscenza dell’utilizzo dei tool di AI in azienda, e il 32% dei dipendenti non ritiene necessario informarli.
Un dato che non stupisce, visto che il 77% degli intervistati nasconderebbe ai colleghi il fatto di utilizzare strumenti di AI, o addirittura lo ha già fatto. Del resto, più del 60% delle aziende italiane non ha definito linee guida o regole da seguire nell’utilizzo di questi strumenti, esponendo così l’azienda a possibili rischi. Il 14% dei dipendenti che lavorano in aziende che invece hanno definito regole o linee guida si lamenta perché sono poco chiare e comprensibili. Inoltre, solo il 13% sa esattamente come funziona l’elaborazione delle informazioni da parte di ChatGPT, mentre il 44% ne ha solo una vaga idea, o nessuna conoscenza (43%).

Poco attenti alla privacy

Inoltre, il 50% dichiara di condividere dati personali, informazioni destinate esclusivamente ad uso interno, documenti sensibili e molto altro. Di questi, circa il 20% non ritiene importante mantenere private le proprie ricerche, mentre addirittura il 30% pur sapendo che non bisogna condividere dati sensibili, lo fa ugualmente non anonimizzando le informazioni e rendendo quindi possibile che vengano ricondotte a un individuo o azienda specifica, con conseguenze importanti su privacy e sicurezza. Anche la veridicità e l’autorevolezza dei contenuti ottenuti dagli strumenti AI non preoccupa troppo i dipendenti: il 49% è disposto a utilizzare le risposte ottenute senza controllare la correttezza delle informazioni.

Pmi al bivio: più investimenti per innovazione, meno per “cultura” digitale

Le Pmi italiane sono al bivio dell’innovazione. Nel 2022 sono aumentati gli investimenti in digitale rispetto al 2021, ma permane un forte divario culturale. Segno di una mancata consapevolezza tra le piccole e medie imprese riguardo le opportunità offerte dalla trasformazione digitale. Secondo i dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi della School of Management del Politecnico di Milano, il 43% delle Pmi dichiara infatti di essere ‘avanti nel processo di digitalizzazione’, o ‘puntare sempre di più sul digitale’, ma il 35% stenta a riconoscere alla digitalizzazione un ruolo centrale all’interno del loro settore economico di riferimento. Il 51% delle Pmi non svolge attività in azienda per sviluppare e potenziare le competenze digitali, e solo l’8% punta a integrare nell’organico figure Stem o di alta formazione.

Processi ancora poco digitalizzati per marketing e HR 

Il divario tra investimenti e livello di competenze si ripercuote direttamente sulla digitalizzazione dei processi, spesso portata avanti con strumenti non avanzati. Ad esempio, le attività di marketing e lead generation sono composte da attività tradizionali, come azioni sul campo dei venditori e fiere di settore (48%), o al massimo pubblicità online (30%). A mancare è spesso la raccolta ed elaborazione dei dati raccolti mediante CRM, adottata solo dal 42% delle Pmi. Carente è anche la digitalizzazione dell’area risorse umane, dove principalmente si utilizzano applicativi rivolti alla gestione di presenze, turni e orari lavorativi.

Cybersecurity: soluzioni base nel 96% dei casi

A livello di integrazione di processi/funzioni aziendali il 40% ha introdotto un software ERP (Enterprise Resource Planning), ma rimane elevato il numero di Pmi che non sono interessate a introdurre questa tecnologia. A livello di processi direzionali, imprenditore e vertice strategico sono i principali promotori della digitalizzazione, ma spesso le scelte di business non sono guidate da una valutazione di performance attraverso dati raccolti in azienda. C’è poi attenzione verso la cybersecurity, ma emerge il divario tra imprese che adottano solo soluzioni base (96%) o anche avanzate (28%).

Risorse e progetti poco mirati a livello nazionale

Le iniziative realizzate a livello nazionale a favore della digitalizzazione delle imprese mostrano un’assenza di focalizzazione esclusiva verso le Pmi. Solo 2 progetti su 10 sono esclusivamente indirizzati alle Pmi e di questi 2 su 3 sono rivolti indiscriminatamente a tutte le imprese, senza considerarne il settore o la filiera come fattore discriminante. A livello regionale, invece, le misure mirate e a specifici settori o distretti risultano più frequenti. Per quanto riguarda la ricerca di risorse finanziarie, in generale le Pmi faticano a intercettare tempestivamente i bandi ai quali potrebbero aderire, e qualora siano in grado di accedervi, hanno difficoltà a impostare una programmazione di medio-lungo termine. Una criticità che enfatizza l’assenza di una strategia digitale a favore di un approccio estemporaneo dettato da contingenze esterne e disponibilità di fondi.

Come creare un’immagine coordinata per un negozio

L’immagine coordinata di un negozio è un elemento fondamentale per il successo di una attività commerciale e dunque del business.

Se non sai di cosa stiamo parlando, l’immagine coordinata è l’insieme di elementi grafici, visivi e comunicativi che compongono l’identità del negozio, creando insieme una percezione univoca e riconoscibile del brand.

Nulla di complicato, non preoccuparti. Di seguito parleremo proprio di come creare un’immagine coordinata per un negozio,  descrivendo i vari passaggi in maniera semplice e chiara.

Passaggi per creare un’immagine coordinata

Creare un’immagine coordinata per un negozio richiede una pianificazione accurata, assieme ad  una buona dose di creatività.

Ecco alcuni dei passaggi necessari per crearne una veramente efficace:

  1. Analisi del brand: prima di procedere con la creazione di un’immagine coordinata, è importante analizzare il brand e la sua personalità. Questo aiuterà a definire gli elementi visivi come i colori e i materiali giusti, che possano rappresentare al meglio il marchio.
  2. Scelta dei colori: i colori sono un elemento fondamentale dell’immagine coordinata. Scegliere i colori giusti può fare la differenza tra una percezione positiva o negativa del brand. È importante scegliere i colori in base alla personalità del marchio e alle emozioni che si vogliono trasmettere ai clienti.
  3. Design del logo: il logo è uno dei principali elementi visivi dell’immagine coordinata. Il suo design deve essere semplice, riconoscibile e rappresentare al meglio l’azienda.
  4. Scegliere i materiali: i materiali utilizzati per l’arredamento e le decorazioni del negozio devono essere in linea con l’immagine coordinata. È importante scegliere materiali che durino nel tempo e che siano in grado di comunicare al meglio il valore del marchio.
  5. Definire le linee guida: definire delle linee guida cui attenersi per l’immagine coordinata aiuta a mantenere una linea di continuità in tutti gli elementi visivi e comunicativi del brand. Tali regole devono includere le istruzioni per l’uso dei colori, del logo e dei materiali.

Scegliere i colori e i materiali giusti

Scegliere i colori e i materiali giusti è fondamentale per creare un’immagine coordinata che sia veramente efficace. I colori devono essere scelti in base alla personalità del brand e alle emozioni che si vogliono trasmettere ai clienti.

Ad esempio, i colori caldi come il rosso e l’arancione possono creare un’atmosfera accogliente e amichevole, mentre i colori freddi come il blu e il verde possono creare un’atmosfera più professionale e rilassante.

Anche la scelta dei materiali è importante per l’immagine coordinata. I materiali devono essere scelti in base al messaggio che desideriamo trasmettere al pubblico e al tipo di prodotto venduto.

Ad esempio, se il brand vende prodotti di alta qualità, è importante utilizzare materiali di alta qualità come il legno massello o il vetro.

Se invece intendi dare del tuo negozio una immagine il più possibile “green” e sostenibile, scegliere degli ottimi mobili in cartone potrebbe essere la scelta vincente.

Gli elementi dell’immagine coordinata

L’immagine coordinata di un negozio è composta da diversi elementi visivi e comunicativi. Di seguito sono riportati i principali:

  • Logo: il logo è il simbolo del brand e deve essere riconoscibile e rappresentare al meglio il brand.
  • Colori: i colori utilizzati nel negozio devono essere in linea con la personalità del brand e trasmettere le emozioni giuste ai clienti.
  • Materiali: i materiali utilizzati per l’arredamento e le decorazioni del negozio devono essere in linea con l’idea del negozio e comunicare la storia e l’importanza del marchio.
  • Vetrina: la vetrina del negozio deve attirare l’attenzione dei clienti, presentando eventuali elementi che si rifanno al brand.
  • Packaging: il packaging dei prodotti deve richiamare l’immagine coordinata e dunque essere riconoscibile.

Conclusioni

Creare un’immagine coordinata per un negozio richiede certamente capacità di creative e attenzione ai dettagli, ma gli sforzi in questo campo vengono ripagati negli anni.

È importante partire sempre dall’analisi del brand per creare una percezione univoca e riconoscibile, che ne sia veramente rappresentativa, per aumentare la visibilità del negozio e creare un legame emotivo con i clienti.

L’Italia è contactless, e i pagamenti senza contatto sono in aumento

Considerando la totalità dei pagamenti digitali i pagamenti in cui vengono utilizzate carte o app contactless costituiscono il 78,1%, + 9% rispetto al 2021. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Pagamenti Contactless 2023 di SumUp dal 2020 il trend dei pagamenti senza contatto non si è mai arrestato, e nel 2022 vede una nuova crescita in tutto il Paese. Una crescita che indica la predisposizione di commercianti ed esercenti verso pagamenti contactless con carte, smartphone e smartwatch, perché consentono di pagare più velocemente e snellire le operazioni di cassa. Ma oltre alla diffusione sempre maggiore dei device un altro elemento di incentivo è l’aumento della soglia a 50 euro per i pagamenti contactless senza pin, effettivo dal 1° gennaio 2021 e confermato nel 2022.

Ristorazione e vendita al dettaglio i più predisposti

Nel 2022 una maggiore predisposizione per il contactless riguarda gli esercenti legati alla ristorazione e alla vendita al dettaglio. Le percentuali più alte di pagamenti contactless si registrano in bar e club, dove l’84,6% dei pagamenti avviene con carta, seguiti da edicole (82,7%), supermercati, alimentari, panifici, pasticcerie (82,4%), caffè e ristoranti (81,8%). Meno coinvolti dal trend del contactless sono hotel e strutture ricettive, dove la percentuale di pagamenti resta la più bassa (55%).  A registrare la crescita dei pagamenti contactless più importante rispetto all’anno precedente sono nuovi settori, con in testa servizi legali e agenti immobiliari (+17%), seguiti da medici e dentisti (+15%), veterinari (+14%), estetisti, parrucchieri e barbieri (+13%). 

Sud e Isole: cresce l’uso di carte, smartphone e smartwatch

A crescere nel 2022 in merito al contactless sono tutte le province italiane, anche se nell’uso della tecnologia senza contatto nel campo dei pagamenti con carte, smartphone e smartwatch spiccano soprattutto le province del Sud Italia e delle Isole. In testa Ragusa, con l’81,5% dei pagamenti contactless, seguita da Reggio Calabria (81%), e Caserta (80,9%).  Quanto alle province che registrano la crescita più alta nell’uso del contactless in testa alla classifica si trovano le province del Nord Italia. Al primo posto Vicenza, con una crescita del +20% rispetto al 2021, seguita da Verona (+18%), e a pari merito, le province di Modena, Bolzano e Asti (+17%). 

Lo scontrino medio diminuisce anno su anno

In Italia lo scontrino medio contactless tende a diminuire anno su anno a partire dal 2019, dimostrando come consumatori e commercianti siano sempre più disposti ad affidare anche cifre piccole alle transazioni contactless. Nel 2022 il valore medio dello scontrino contactless è di 35,2 euro, in progressiva diminuzione dai 44,9 euro del 2019. Gli esercenti che registrano gli scontrini medi più bassi sono bar e club (circa 14 euro), confermando come sia ormai abitudine diffusa pagare con smartphone o smartwatch anche il caffè al bancone.  Tra gli scontrini più piccoli, anche quelli di tabaccherie (19,2 euro), edicole (20,5 euro), food truck e fast food (20,7 euro), a riprova che le transazioni contactless non solo richiedono molto meno tempo rispetto al pagamento in contanti, ma risultano anche più comode. 

Crescita professionale: perchè è un fattore essenziale per la sopravvivenza delle imprese? 

Alcuni lavoratori mirano a un aumento di stipendio per far fronte al carovita. E sono in molti a rivalutare le proprie priorità, cercando, ad esempio, maggiore flessibilità e altre opportunità di crescita, aspetti che hanno causato il fenomeno della Great Resignation. Dal punto di vista delle aziende, nei periodi di incertezza economica spesso vengono sacrificati i progetti di Learning & Development, considerati non essenziali, mentre invece è proprio in queste fasi che la fidelizzazione dei dipendenti diventa cruciale. Con l’inflazione in aumento e la prospettiva di una flessione macroeconomica molte aziende sono costrette a entrare in ‘modalità sopravvivenza’, tagliando i budget e la pianificazione a lungo termine per affrontare le priorità e gli aspetti critici di breve termine.

Formare il personale è più conveniente e strategico che assumere nuove risorse

Quando i dipendenti non si sentono valorizzati, decidono di abbandonare l’attuale posto di lavoro alla ricerca di chi è maggiormente disposto a investire su di loro. In questa situazione, in cui si registra una crescente carenza di talenti in molti settori, “trattenere il personale e ridurre quindi il tasso di abbandono dei dipendenti è la via principale per gestire gli scenari di crisi da parte delle aziende – commenta Claudio Tadoldi, Regional Sales Director di Docebo -.
Formare l’attuale personale risulta per le aziende decisamente più conveniente e strategico che ricercare e assumere nuove risorse, come riportato, ad esempio, dal recente report della Financial Services Skills Commission (FSSC), che per il settore dei servizi finanziari stima un risparmio medio di quasi 50.000 euro per dipendente.

Promuovere opportunità di carriera ha un effetto positivo sulla cultura aziendale

Inoltre, investire nell’aggiornamento professionale garantisce che il personale si senta valorizzato e possa contare su ottime competenze per lavorare in modo produttivo, contribuendo alla crescita dell’organizzazione.  Questo, a sua volta, rende i lavoratori in grado di individuare nuovi trend e opportunità, e di adattarsi alle nuove pressioni sul posto di lavoro. Un aspetto decisamente importante nel caso i team siano alla ricerca di metodologie per essere più efficienti, e ottenere maggiori risultati con meno risorse.
L’implementazione di programmi efficaci di upskilling e reskilling può favorire la mobilità interna, promuovendo opportunità di carriera laterali e in ascesa, con un effetto positivo sulla cultura aziendale e un miglioramento nella fidelizzazione del personale.

L’upskilling non deve riguardare solo le competenze tecniche

I migliori programmi di upskilling non riguardano solo le competenze tecniche, ma considerano il contributo dei dipendenti in una prospettiva olistica-multidisciplinare. Le aziende di successo riconoscono il valore di una forza lavoro con un’ampia gamma di competenze, comprese quelle interpersonali. Resilienza, curiosità, empatia, capacità gestionali e comunicative giocano in tandem con le competenze tecniche per creare una cultura aziendale in cui la dinamica di gruppo sia positiva, i problemi complessi risolvibili, e la produttività sia elevata, ma senza sovraccarichi. I team di grandi dimensioni vengono gestiti in modo strategico, e il personale ha maggiori probabilità di essere tutelato, in quanto si sente responsabilizzato e coinvolto.

Come fare personal branding su LinkedIn

Essere presenti su LinkedIn in modo corretto può fare la differenza in ambito professionale? Decisamente sì, a condizione di utilizzare il social per fare personal branding. Non è infatti un caso se oltre un milione di manager è presente su LinkedIn e di questi 1 su 7 cerca apertamente una nuova occupazione. A dirlo è Wyser, brand globale di Gi Group Holding che si occupa di ricerca e selezione di profili di middle e senior management, con una community LinkedIn di quasi 240.000 professionisti in Italia, che sottolinea l’importanza di differenziarsi e rendere il proprio profilo LinkedIn più attrattivo agli occhi di recruiter e aziende.

Come viene usato LinkedIn?

Recruiter e head hunter lo utilizzano in maniera professionale per cercare candidati o approfondire la conoscenza di profili già noti. Secondo una survey Wyser, oltre l’80% dei recruiter effettua una ricerca online del candidato dopo aver ricevuto il suo curriculum e il 42,9% utilizza i social in generale e LinkedIn in particolare per cercare una conferma delle qualifiche per il lavoro del/della candidato/a, mentre il 45,2% lo usa per farsi un’idea sulle caratteristiche della personalità, come apertura mentale, propensione a collaborare e senso etico, ritenute sempre più fondamentali soprattutto per profili manageriali e di responsabilità. Ecco perchè “prendersi cura” del proprio profilo e della propria presenza su LinkedIn può essere rilevante nelle fasi di crescita della propria carriera. 

I consigli degli esperti

Per aiutare i professionisti a proseguire nelle loro carriere, Wyser indica alcune dritte per aggiornare il profilo personale. Quasi il 50% di chi si occupa di ricerca e selezione dà valore alla coerenza delle informazioni del profilo con quelle contenute nel curriculum. Oltre al confronto con la sezione ‘Esperienze’, però, le varie sezioni del profilo personale – foto di copertina, headline, sezione ‘Informazioni’ e molte altre – offrono la possibilità di inserire dettagli che per ragioni di sintesi vengono esclusi dal curriculum, ma che sono utili a sottolineare capacità e competenze acquisite o il grado di responsabilità che si gestisce o ancora a far intuire aspetti della personalità o soft skill.

Selezionare i contatti 

Per un profilo efficace, è importante curare la community. Gli esperti consigliano di richiedere e accettare richieste di collegamento da contatti di lavoro (colleghi, collaboratori, responsabili) o di business (fornitori, clienti attuali o potenziali). E’ opportuno seguire invece quelle persone o aziende affini ai propri interessi e che parlano di temi rilevanti per la propria occupazione. Attraverso le interazioni con i post, che siano like o condivisioni, si possono rinsaldare relazioni con i contatti; commentando dei post o rispondendo a commenti altrui si può iniziare o proseguire conversazioni e stringere nuove relazioni.

Posizionarsi su temi rilevanti per il proprio business 

LinkedIn svolge sempre di più un ruolo di media per l’informazione relativa al mondo del lavoro e dell’impresa. Oltre a pagine ufficiali come LinkedIn Notizie e Obiettivo Lavoro, a produrre i contenuti sono proprio i suoi utenti, aziende e persone, ciascuno esperto nel proprio ambito. Condividere una notizia di settore accompagnata da un proprio commento oppure un post in cui si racconta un progetto ti posiziona come persona esperta in un campo specifico.