Categoria: Marketing

Per le imprese vitivinicole italiane il futuro è digitale 

Per le piccole imprese vitivinicole il digitale è la chiave per accrescere la competitività, in Italia e sui mercati esteri. Si tratta di un settore produttivo composto per più del 92% da piccole imprese, dove il 74,7%, circa 46.000 aziende vinificatrici, è rappresentato da aziende che producono meno di 100 ettolitri di vino all’anno, ovvero, meno di 15.000 bottiglie da 0,75 litri. Il 17,5% riguarda invece le realtà che producono più di 100 ettolitri, ma meno di 1000, mentre sono meno di 100 (0,2%) le imprese in Italia che producono più di 13.000 bottiglie di vino annue, oltre i 100.000 ettolitri, pur rappresentando il 41,8% della produzione nazionale di vino.

Una grande opportunità per il settore

TeamSystem ha commissionato a Wine Meridian una ricerca per sondare il livello di digitalizzazione di queste imprese. Sono state coinvolte 230 realtà, di cui più della metà (51%) con un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro l’anno e meno di dieci dipendenti (52%). La ricerca evidenzia come il digitale sia visto dalle imprese campione come una grande opportunità, con solo il 7,1% che ritiene abbia solamente un ruolo marginale nel settore vitivinicolo. A fronte di questo gruppo di scettici, la maggior parte degli intervistati crede nel digitale. Oltre a chi afferma di puntare sul digitale già da anni, un 44,4% è convinto che rappresenti il futuro del settore, mentre il 30,3% sta iniziando in questo momento a intraprendere il proprio percorso di trasformazione digitale e a trarne i primi benefici.

Dall’e-commerce al monitoraggio delle attività in cantina

Considerando la crescita costante registrata dall’e-commerce negli ultimi anni, per il 60% delle imprese questo rappresenta uno dei fattori su cui la digitalizzazione influisce maggiormente. Non meno importante è la volontà di digitalizzare tutto il processo di produzione (40%). Se il 77% del campione si è già dotato di un software gestionale per la contabilità aziendale, e le operazioni di magazzino sono seguite tramite gestionale dal 57%, passi avanti restano ancora da fare per quel che riguarda il monitoraggio delle attività in cantina. Queste ultime, infatti, sono monitorate grazie ad applicativi gestionali (MES, PLM) soltanto dal 34% degli intervistati, contro il 48% che utilizza ancora strumenti o database locali (come i fogli di calcolo Excel), il 12% che si affida a sistemi manuali, e il 6% che dichiara di non tracciare affatto i flussi operativi della propria cantina.

Digitalizzare l’enoturismo

Spazio di crescita resta anche nella digitalizzazione dell’enoturismo, fenomeno sempre più importante per i produttori. Molte piccole aziende non hanno ancora digitalizzato l’enoturismo (37%), mentre altre si affidano a portali web, dove le grandi aziende si avvalgono ormai per la maggior parte di sistemi CRM. La ricerca evidenzia inoltre come quasi un imprenditore vitivinicolo su 3 (31%) non è a conoscenza dell’esistenza degli incentivi statali per la digitalizzazione, mentre il 15% dichiara di non essere intenzionato ad accedervi perché troppo onerosi da ottenere, considerando lo sforzo di investimento iniziale richiesto.

Nel 2021 le imprese italiane investono oltre 2 miliardi in Csr

I dati del decimo Rapporto Csr promosso dall’Osservatorio Socialis sull’impegno sociale, economico e ambientale delle aziende in Italia, parlano chiaro. Nel 2021 il 96% delle aziende italiane con più di 80 dipendenti dichiara di aver speso 282mila euro all’anno in attività di Corporate Social Responsibility (Csr), per un totale di 2 miliardi e 162 milioni di euro. Su un campione composto da 400 imprese aumenta infatti visibilmente la percentuale di aziende che ha già confermato il budget per il 2022 (65% rispetto al 40% del 2020), viceversa si è ridotta la quota di imprese che ha annullato o ridotto il budget (27%) e la quota che non lo aveva pianificato in anticipo (6%).  La responsabilità sociale dell’impresa, quindi, è diventata un dovere, quasi un obbligo. E le crisi, dalla pandemia alla guerra, non sembrano rallentare questo cammino. 

Nonostante il Covid +22% di investimenti in due anni

Si tratta di dati, che al di là delle dimensioni emergenziali, sembrano indicare una riacquistata capacità di programmazione. Secondo la rilevazione dell’Osservatorio, rispetto alla prima rilevazione del 2001, quando si spendevano circa 400 milioni di euro in attività Csr, in Italia è più che quintuplicato il valore assoluto degli investimenti in Csr delle aziende con più di 80 dipendenti. L’investimento medio in Csr delle aziende italiane nel 2021 rispetto al 2019 è salito del 17%. Un trend ormai ventennale, che nonostante l’emergenza Covid vede una crescita del 22% solo negli ultimi due anni.

Un incremento delle azioni rivolte ai paesi in difficoltà

Per quanto riguarda le aree e le modalità di investimento le aziende che fanno attività di Csr si concentrano soprattutto sulle iniziative interne all’azienda (50%), come quelle legate alla formazione del personale (33%). Il 40% delle aziende promuove iniziative dedicate al territorio nazionale e il 36% al territorio vicino alla propria azienda. Quest’anno si è rilevato un incremento delle azioni rivolte ai paesi esteri (21%), registrando un possibile ritorno a quella che viene definita comunemente ‘beneficenza’, ossia investimenti e donazioni in paesi lontani, più poveri o in difficoltà.
I maggiori investimenti però vengono dedicati alla diminuzione dell’impatto ambientale: il 40% investe per migliorare il risparmio energetico, mentre il 38% privilegia azioni di investimento nelle tecnologie innovative per limitare l’inquinamento e migliorare lo smaltimento dei rifiuti.

Puntare sui temi ESG

La Csr si conferma conveniente per le aziende che la praticano: il 44% delle aziende intervistate indica che la Csr porta a un miglioramento della reputazione, e per 4 aziende su 10 un miglioramento della motivazione del personale, e il conseguente miglioramento del clima interno. La rilevazione mostra poi che l’attenzione di imprese e consumatori rimane alta. Infatti, il 51% delle imprese ritiene in crescita l’attenzione verso la Csr. Le aziende, poi, attribuiscono un valore più alto alle attività a vantaggio della corporate governance e del sociale, ovvero le tematiche ESG.

Il mercato degli immobili a Milano e provincia, l’appeal cresce

Nonostante la lunga emergenza sanitaria, il mercato immobiliare a Milano e provincia si mantiene in ottima salute anche nel 2021. A dirlo sono gli operatori del settore, che segnalano una domanda sempre maggiormente selettiva e attenta alla qualità, in uno scenario di mercato più interessante per i nuovi complessi immobiliari. E’ quanto emerge dalla “Rilevazione dei prezzi degli Immobili sulla piazza di Milano e Provincia”, realizzata dalla Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, in collaborazione con FIMAA Milano Lodi Monza Brianza, Assimpredil ANCE Milano Lodi Monza e Brianza, Fiaip Lombardia, Anama Milano, ISIVI Milano, Ordine dei Geometri della Provincia di Milano e altre associazioni di categoria e ordini professionali del settore. 

Il prezzo medio in città? 5.798 euro al mq per il nuovo

I prezzi delle abitazioni sotto la Madonnina restano alle stelle. Una casa nuova in città costa in media 5.798 euro al mq, con una variazione positiva di +1,54% in un anno. La media in centro è di 10.141 euro al mq rispetto a 10.228 euro al mq del 2020, segnando una leggera flessione -0,85%. Nella zona nord, i prezzi passano da 4.335 euro al mq a 4.464 €/mq, +2,976%. Nel quadrante est la variazione più significativa con quotazioni che crescono a +3,07%. Nella zona ovest si passa da 5.177 €/mq a 5.307 €/mq, +2,51%. In crescita anche la zona sud, da 4.104 €/mq a 4.229 €/mq, con un incremento dei prezzi pari a +3,04%. 

Il valore del territorio

“Per questa edizione abbiamo voluto concentrare l’attenzione sul territorio e sul suo valore. Il contesto, nella scelta di un immobile, è oggi prioritario nell’ottica di una sempre migliore qualità della vita, della vivibilità anche degli spazi esterni, della fruibilità dei servizi. La trasformazione in atto a Milano, come in molti Comuni della Città Metropolitana, e le tipologie di utilizzatori sempre più differenziate ed esigenti dimostrano come l’identità di un territorio si debba sempre misurare anche dalle relazioni tra chi lo vive, sia nel residenziale che nel commerciale. Serve quindi un’offerta immobiliare ben contestualizzata e adeguata in termini di prodotto e di prezzo” ha detto Beatrice Zanolini, Consigliere della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi. “La nostra Camera di Commercio è da sempre protagonista dello sviluppo del territorio. Serve ripensare il rapporto tra centro e periferia: il nuovo ruolo delle Città Metropolitane è anche quello di riposizionare il centro rispetto a tutto il territorio, intervenendo con una riqualificazione coordinata e allargata, proiettata sempre in avanti. Le periferie diventano quartieri, nel contesto urbano si sviluppano veri e propri borghi, dando vita a nuove soggettività territoriali”.

Anche l’hinterland è in ripresa

Anche i comuni dell’area di Città Metropolitana risentono i n positivo di questo effetto. Da Cologno Monzese a Bollate, da Magenta ad Albairate è in crescita la domanda per gli immobili di qualità, soprattutto nelle zone a maggiore presenza dei servizi, con disponibilità di zone verdi e migliori collegamenti con la città.

Cresce l’uso del mobile per gli acquisti online

Anche nel periodo post pandemia continua a crescere l’e-commerce, e gli acquisti online si fanno sempre più col telefonino. Più di un acquisto online su due ormai viene infatti effettuato tramite dispositivo mobile, soprattutto durante il fine settimana, in estate e nel corso del Black Friday. In particolare, si utilizza il cellulare soprattutto per lo shopping di prodotti cosmetici e di abbigliamento. È quanto emerge da una ricerca condotta da PayPlug, la soluzione di pagamento online per le Pmi. 
“Le persone sono sempre più connesse tramite smartphone e tablet e lo dimostra il fatto che il canale mobile si sia consolidato negli ultimi 4 anni, con una costante ascesa, passando dal 41% del 2018 al 51% nel 2021”, spiega Gloria Ferrante, Marketing Manager Italia di PayPlug.

Il mondo smartphone rappresenta il 51% del totale dell’e-commerce

Si tratta di un andamento che rispecchia i dati diffusi dall’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, secondo i quali con 15,65 miliardi di euro il mondo smartphone rappresenta il 51% del totale del mondo e-commerce. Ma a consolidarsi è anche il valore medio del carrello su mobile, sempre più spesso superiore ai 75 euro. Questo avviene nel 39% dei casi, una percentuale cresciuta di ben 7 punti dal 2019 (32%), e che sottolinea da parte dei consumatori la grande fiducia e usabilità del mezzo.

A spingere gli acquisti dal telefonino è anche il commercio conversazionale

Da quanto rileva la ricerca di PayPlug i settori in cui lo shopping da mobile conquista maggiormente i consumatori sono due, quello della cosmesi (55%) e dell’abbigliamento (53%). Ma a spingere gli acquisti da mobile è anche il commercio ‘conversazionale’, ovvero l’atto di vendere prodotti e servizi intrattenendo una conversazione personalizzata con i propri clienti. In particolare, tramite sms, e-mail, oppure tramite applicazioni di messaggistica e chatbot.

Vendere via sms utilizzando i link di pagamento

Secondo la ricerca di PayPlug, tra gennaio e maggio 2021 il 15% dei commercianti ha infatti concluso vendite via sms utilizzando i link di pagamento. Una percentuale di quattro punti superiore rispetto all’11% dello stesso periodo del 2020. Di fatto, i commercianti hanno concluso le vendite inviando sms, e-mail, applicazioni di messaggistica, oppure re-indirizzano il cliente a una pagina di pagamento sicura. In questo modo dal proprio smartphone il cliente ha potuto inserire i dati per il pagamento, e convalidare l’ordine in modo semplice e veloce.

L’azienda che forma donne manager è più produttiva del 9%

Quando l’azienda coinvolge le donne nella formazione manageriale l’aumento di produttività sale del 9%. La formazione manageriale delle donne ha un impatto positivo sulla produttività delle imprese, ed esiste un gap di produttività fra chi rivolge la formazione solo agli uomini e chi invece la rivolge anche alle donne. Fare formazione alle manager conviene sia nella manifattura, dove l’aumento è del 9%, sia nei servizi, dove la produttività si innalza dell’8% 
Sono alcuni risultati emersi da un’indagine di Fondirigenti, il Fondo interprofessionale per la formazione dei manager, promosso da Confindustria e Federmanager, e condotta in collaborazione con le Università di Trento e Bolzano.

Aumenta del 60% la sensibilità delle imprese verso il management femminile

Dal 2010 al 2020 la ricerca di Fondirigenti ha evidenziato una decisa crescita delle attività formative rivolte al management femminile, dal 13% al 21% del totale, con un aumento di quasi il 60% della sensibilità delle imprese in questa direzione. Le manager in formazione sono inoltre più giovani dei colleghi di sesso maschile, perché sei su dieci di loro (il 57%, per l’esattezza) hanno meno di 50 anni, mentre non vengono rilevate differenze significative nella durata media dei corsi di formazione, che si attestano attorno alle 19 ore, con o senza donne coinvolte. In particolare, la fascia d’età maggiormente rappresentata dalle dirigenti donne in formazione è quella fra i 30 e i 34 anni, che fa salire al 27% la presenza femminile in questo range anagrafico. D’altra parte, tra i dirigenti in formazione oltre i 55 anni, le donne rappresentano solo il 12% del totale.

Più donne dirigenti in Lombardia e nelle aziende più grandi 

Se, in base alla distribuzione geografica delle imprese, come singola regione è la Lombardia quella che assorbe più donne sul totale dei dirigenti donne (51,80%), come ripartizione geografica è il Centro a coinvolgere maggiormente il sesso femminile (46%), mentre al Nord la percentuale è del 35% e al Sud al 28%. Inoltre, riporta Adnkronos, più sale la dimensione aziendale e più aumenta il coinvolgimento delle donne dirigenti: nelle microimprese soltanto lo 0,4% delle imprese inserisce in formazione donne manager, percentuale che cresce all’8,2% nelle piccole imprese, e al 40% nelle medie imprese, mentre la quota sale al 51,4% nelle grandi imprese.

Scienza e tecnologia, i settori con il 49% con almeno una donna in formazione

La percentuale delle aziende che rivolgono la formazione ad almeno una donna manager cresce con il crescere dell’età dell’impresa. Tanto che il 91% di tutte le aziende che coinvolgono nella formazione almeno una dirigente di sesso femminile ha più di dieci anni d’età. Quanto ai settori più attivi in questo senso, a inserire più donne nei processi formativi dei dirigenti sono le imprese che lavorano nei settori della scienza e della tecnologia, dove il 49% di esse ha almeno una donna in formazione.

Nell’anno del Covid crescono le vendite dei prodotti per intolleranti

Oggi i clienti dei supermercati italiani possono scegliere tra quasi 13.700 prodotti alimentari “free from” e oltre 10 mila formulati per rispondere alle esigenze di chi soffre di allergie o intolleranze alimentari. Un’offerta in continua crescita e diversificazione per un business altrettanto che nel 2020 ha visto le vendite di alimenti “free from” sfiorare i 7 miliardi di euro, e quelle di prodotti per intolleranti superare 4 miliardi di euro, in crescita rispettivamente del +3,3% e del +4,6% rispetto al 2019. Nel 2020 continua quindi la crescita dei prodotti senza glutine o lattosio, ma si affermano altri claim “senza”, come “senza antibiotici”, “senza polifosfati”, “senza glutammato”, “senza latte” e “non fritto”. A monitorare l’andamento di questo mercato è la nona edizione l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che ha preso in esame i risultati di vendita di oltre 120 mila prodotti di largo consumo, pari all’82,6% del fatturato di supermercati e ipermercati in Italia.

Il paniere più consistente? Quello dei “free from”

Il paniere più consistente è quello dei prodotti alimentari “free from”, che nel nel 2020 incide per il 18,0% sul totale dei prodotti monitorati dall’Osservatorio e per il 25,0% sul giro d’affari complessivo. Tutti i 17 claim rilevati hanno registrato performance in crescita rispetto al 2019, grazie soprattutto alla componente della domanda (+6,1%), con aumenti che vanno dal +1,2% di “senza conservanti” (5,8% dei prodotti), a +41,3% di “senza antibiotici” (0,2%). Il 2020 è stato un anno di crescita anche del comparto dei prodotti rivolti a chi soffre di allergie o intolleranze alimentari, che ha contribuito per il 14,4% alle vendite totali del paniere food. La performance è stata sostenuta da una domanda positiva (+8,3%) e un’offerta arrivata al 13,4% del paniere complessivo rilevato.

Il segmento più importante è il gluten free

Il segmento più importante, sia come valore delle vendite sia come numero di referenze, è quello del gluten free, a cui appartengono il claim “senza glutine” (+5,0% di vendite) e il marchio Spiga Barrata rilasciato dall’Associazione italiana celiachia (+3,9%). Il segmento più dinamico del 2020 è stato quello dei prodotti “senza lattosio”, arrivati a quota 2.141 referenze per un aumento del +6,7% del giro d’affari. All’area valoriale del “lactose free” appartiene il claim emergente “senza latte”, rilevato su 478 prodotti, che hanno chiuso il 2020 con un aumento di +11,4% delle vendite.

Senza lievito, +3,7%, e senza uova, +0,1%

Sono altri due i claim affacciati in etichetta e “intercettati” dall’Osservatorio: “senza lievito” (+3,7% di vendite), e “senza uova”, che ha visto salire il sell-out del +0,1% rispetto al 2019. Da rilevare anche l’accelerazione nelle vendite di prodotti alimentari presentati in etichetta come “senza polifosfati” (+12,6%), “senza glutammato” (+10,5%), “senza aspartame” (+10,0%), e di quelli con il claim “non fritto” (+10,5%).

Microsoft Teams lancia nuove funzionalità per gli utenti consumer

Finora la piattaforma di comunicazione Microsoft Teams si era rivolta principalmente ai professionisti e ai lavoratori connessi da remoto, ora ha introdotto nuove funzionalità progettate appositamente per gli utenti consumer. L’obiettivo della piattaforma è infatti quello di semplificare la comunicazione con amici e famiglia. Microsoft Teams diventa quindi un hub centrale per la comunicazione e la gestione della propria vita privata. Le funzionalità consumer di Teams ora sono disponibili gratuitamente in tutto il mondo. Chi usa già l’app per lavoro dovrà semplicemente cliccare sul proprio profilo e aggiungere l’account personale, mentre i nuovi utenti possono scaricare Microsft Teams per iOS, Android, oppure desktop, e scoprire tutte le novità della piattaforma.

Together, per scegliere fra una varietà di nuovi contesti virtuali per le chiamate

Tra le novità, la modalità Together, con cui è possibile trasformare qualsiasi videocall tra amici e parenti in uno spazio condiviso. Con Together è infatti possibile scegliere tra una varietà di nuovi contesti virtuali come, ad esempio, un salotto, una caffetteria o persino un resort vacanze, per aggiungere un tocco di allegria alle proprie chiamate quando si è distanti fisicamente. Un’altra novità introdotta dalla piattaforma riguarda l’invio di reaction e GIF, una feature derivata direttamente dalla versione business di Teams.

È possibile invitare fino a 300 persone all’interno della stessa videochiamata

GIF e reaction possono essere utilizzate anche a seguito di una call a cui non si è potuti partecipare per continuare la conversazione. Microsoft Teams permette infatti di accedere in qualsiasi momento al thread per leggerlo e consultarlo anche dopo la conclusione del meeting virtuale. Microsoft Teams permetterà inoltre di invitare fino a 300 persone all’interno della stessa videochiamata, utilizzando qualsiasi Device (PC, Mac o dispositivi Android o iOS) o web browser. In aggiunta a questo, anche gli utenti che non utilizzano Teams potranno visualizzare e rispondere alla chat di gruppo utilizzando gli sms.

Una dashboard dove organizzare i contenuti condivisi all’interno del gruppo

Inoltre, per ogni chat si avrà a disposizione una dashboard dove organizzare tutti i contenuti condivisi all’interno del gruppo, dalle foto ai file, dai link fino ad arrivare ai task condivisi e agli eventi imminenti. Un’ulteriore funzione presto disponibile è quella del sondaggio, modalità per tener traccia delle scelte condivise, come ad esempio dove andare a cena, oppure, in quale giorno fissare la festa di compleanno per un membro della famiglia. Una volta completato, qualsiasi partecipante all’interno della chat di gruppo può intervenire sulla base dei risultati ottenuti, sia che si tratti di creare un gruppo per l’evento da organizzare sia che si tratti di assegnare un task, riferisce TheDigitalClub.

Supermercati, l’Italian food vale 8 miliardi di euro

Alla persone piace sempre di più il cibo italiano, e la conferma è il fatto che le vendite continuano a crescere. Lo ribadisce l’Osservatorio Immagino di GS1 Italia, che monitora l’andamento degli alimenti confezionati nei supermercati e negli ipermercati. Tutte le etichette citano riferimenti all’Italia o alle regioni: in totale, si tratta di 21.000 prodotti alimentari sui banchi della grande distribuzione. L’importo delle vendite supera gli 8,1 miliardi di euro (+ 6,3 % rispetto ai 12 mesi precedenti), pari al 25,6% dell’approvvigionamento alimentare totale in supermercati e ipermercati. Si tratta di un paniere molto ampio, che abbraccia diverse categorie alimentari, in cui l’Osservatorio di Immagino ha confermato sette claim, bollini e indicazioni geografiche europee: crescono le vendite di tutti gli articoli (escluso il “prodotto in Italia”), in particolare dei Prodotti DOP (+12,3%) e utenti che si dichiarano “100% italiani” (+9,4%).

A livello regionale vince il Made in Trentino Alto Adige

Se un quarto dei prodotti alimentari menziona chiaramente le sue caratteristiche italiane sulla confezione, un altro decimo evidenzia più chiaramente la sua origine regionale: si tratta di prodotti di oltre 8.600 provenienze regionali, e le vendite di questi prodotti superano i 24 miliardi di euro, un aumento del 5% in un anno. Quali regioni italiane hanno conquistato i carrelli della spesa italiani? Si conferma primo il Trentino-Alto Adige, seguito da Sicilia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Tuttavia, nelle classifiche regionali stilate dall’Osservatorio Immagino, spiccano anche le performance dei prodotti made in Molise (+ 28,7%), Liguria (+ 15,6%) e Calabria (+ 13,1%).

Spesa in tempi di pandemia

“La pandemia ha certamente influito, amplificando atteggiamenti di consumo legati al bisogno di rassicurazione e fiducia su quello che si sta acquistando” ha commentato Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy. “Ma si tratta comunque di un fenomeno ormai strutturale che prescinde da quello che è successo nell’ultimo anno. Difficilmente si tornerà indietro. Tanto più che stanno emergendo sia nell’offerta che nella domanda nuovi aspetti legati alle filiere e ai processi produttivi. I consumatori sono sempre più esperti e critici, è aumentata la cultura alimentare e l’attenzione alla tradizione, soprattutto tra chi ha maggiore capacità di spesa, dato che si tratta di prodotti mediamente più costosi”. Tra i prodotti a cui i consumatori prestano particolare attenzione, verificando ingredienti e la loro provenienza, spicca – e non sorprende – la pasta, da sempre simbolo di italianità.

Come riconoscere, e difendersi, dal nuovo ransomware LockTheSystem

Una nuova minaccia sta prendendo di mira le email italiane, LockTheSystem, un ransomware in grado di prendere in ostaggio il pc rendendolo inutilizzabile. Molti utenti stanno infatti segnalando la ricezione di mail in cui viene notificata la mancata consegna di un pacco, ma dietro si cela una trappola. Se truffe di questo tipo si stanno moltiplicando negli ultimi mesi, in questo caso si tratta di un virus introdotto nei dispositivi degli utenti sotto forma di ransomware, un malware informatico che prende “in ostaggio” il computer o lo smartphone, chiedendo un riscatto monetario per poter rendere di nuovo utilizzabile all’utente il proprio device. È il caso di LockTheSystem, il protagonista di una nuova campagna di malware nel nostro Paese.

In allegato alla mail un file .rar indicato con un codice di quattro cifre

Da qualche giorno molte persone stanno segnalando la ricezione di alcune strane email, in cui viene suggerito di ritirare alcuni pacchi la cui consegna non è andata a buon fine. In allegato alla mail è presente un file .rar (un file compresso da aprire con un determinato codice), chiamato PIN nel testo della mail e indicato con un codice di quattro cifre. Scaricando e aprendo il file compresso con il PIN indicato in realtà si sta spalancando la porta al ransomware LockTheSystem. All’interno del file in allegato alla mail truffaldina è presente uno script JS, che una volta scaricato nel pc avvia un eseguibile da remoto con il quale i cybercriminali possono agire indisturbati.

Il dispositivo viene bloccato finché non si paga un riscatto

Tra le azioni compiute dal virus vi è una scansione completa e cifratura dei file nell’hard disk, la cessazione di molti processi attivi con la conseguente impossibilità di prendere possesso del dispositivo, e l’illustrazione di una nota di riscatto cui si può porre rimedio soltanto contattando su Telegram l’account @Lockthesystem, pagando ovviamente il denaro richiesto. L’aspetto curioso di questa vicenda è che la mail è scritta in italiano perfetto. Nulla di simile dunque a tutte le email di phishing finora viste, che si sono sempre contraddistinte per un italiano alquanto ballerino e pieno di errori grammaticali e di sintassi. In questo caso il testo è scritto alla perfezione e, in quanto tale, potrebbe essere stato creato proprio da hacker del nostro Paese.

Come difendersi?

Il Cert-AgID, struttura del governo che si occupa di cybersicurezza, ha consigliato di diffidare da queste email in cui viene elaborata una generica richiesta per un pacco mai consegnato, soprattutto per il fatto che non viene mai richiesto di aprire un file compresso con password per poter avere accesso alla spedizione, o a qualsiasi altro documento. Inoltre è consigliato aggiornare costantemente il proprio antivirus, così come app e programmi installati, ed effettuare un backup di tutti i propri dati all’interno di qualche supporto esterno, come cloud oppure hard disk esterni scollegati dal pc.

Google ferma il tracciamento personale per scopi pubblicitari

Navigare sul web in modo più libero, senza avere gli occhi di Google puntati sui siti che si stanno visitando allo scopo di sapere quale tipo di pubblicità mostrarci. Il gigante di Mountain View ha annunciato che dal prossimo anno cesserà la vendita delle inserzioni pubblicitarie basate sulle abitudini di navigazione dei singoli utenti. Una svolta non da poco, dato che la maggior parte degli introiti generati dalla pubblicità digitale si ottengono proprio grazie a questo sistema. Ma allora, perché lo fa? Semplice, la Grande G, scrive laleggepertutti.it, vuole ottenere un ritorno d’immagine per dimostrare l’intenzione di fare da apripista a ulteriori passi avanti verso il totale rispetto della privacy degli utenti.

Stop ai cookie di terze parti

Già da qualche mese Google ha annunciato che dal prossimo anno non avrebbe più utilizzato la tecnologia di tracking più usata al mondo, cioè i cookie di terze parti. Ora fa un’ulteriore mossa in questa direzione, e annuncia lo stop allo sviluppo di qualsiasi sistema in grado di seguire un utente nella navigazione per creare un profilo sulla base del quale vendere la pubblicità agli inserzionisti. Oggi Google controlla più della metà del mercato pubblicitario digitale in tutto il mondo, un mercato che nel 2020 si è avvicinato a 300 miliardi di dollari. Numeri ai quali hanno contribuito anche le tecniche di ‘pedinamento’ degli utenti che, guarda caso, molto spesso trovavano banner pubblicitari o inserzioni perfettamente in sintonia con quello che pochi minuti prima avevano cercato sul motore di ricerca.

Sul web incombe l’ombra dei garanti della privacy e dell’Antitrust

Ora però è arrivato il momento di cambiare. “Mantenere Internet libero e aperto richiede a tutti noi di fare di più per proteggere la privacy”, ammette il responsabile di Product Management, Ads Privacy and Trust di Mountain View, David Temkin. Possibile quindi che Google verrà seguito da altri colossi del web, come l’impero Facebook, già nel mirino per altre questioni legate a contenuti non sempre affidabili. Su tutto il settore incombe infatti l’ombra dei garanti della privacy e dell’Antitrust, che impongono di schiacciare il freno su alcune strategie di mercato per garantire un maggior rispetto dei diritti degli utenti.  In ogni caso, ciò non significa smettere di investire sulla raccolta pubblicitaria. Google continuerà a puntare su nuove tecnologie per fornire comunque inserzioni mirate, ma senza dover tenere d’occhio gli utenti ogni volta che aprono la finestra del web.