Autore: Alessio Raimondi

Digital Services Act, cosa è il nuovo regolamento Ue per le piattaforme online?

Dal 25 agosto 2023 è entrato in vigore il Digital Services Act, il nuovo regolamento emanato dall’Unione Europea per disciplinare l’ambiente digitale e contrastare l’anarchia sul web, includendo misure di protezione della privacy e dei minori. L’obiettivo principale di tale normativa è creare un ambiente digitale sicuro e affidabile sulle grandi piattaforme, dove i diritti dei consumatori siano tutelati in linea con il principio che ciò che è illegale offline debba esserlo anche online. Le piattaforme digitali saranno tenute a garantire maggiore sicurezza ai consumatori, a difendere i loro diritti, a combattere la diffusione di contenuti illegali e disinformazione, oltre a stabilire norme chiare e responsabilità delle piattaforme stesse.

Un pacchetto normativo valido in tutta Europa

Le leggi sui servizi digitali (DSA) e sul mercato digitale (DMA) costituiscono un pacchetto normativo unificato che si applica in tutta l’Unione Europea e ha due obiettivi principali: creare uno spazio digitale più sicuro per tutelare i diritti fondamentali degli utenti digitali e creare condizioni paritarie per promuovere innovazione, crescita e competizione sia nell’Unione Europea che globalmente.
Tra gli obblighi introdotti dal Digital Services Act, vi è l’implementazione di sistemi di segnalazione dei contenuti illegali che le piattaforme devono esaminare e, se necessario, rimuovere rapidamente. Sarà vietato utilizzare dati sensibili dell’utente, come origini etniche, opinioni politiche e orientamenti sessuali, per mostrare annunci pubblicitari mirati.

Obiettivo protezione degli utenti, specie i minori

Le nuove misure si concentrano particolarmente sulla protezione degli utenti online, con un’attenzione speciale ai minori, affrontando i rischi sistemici e moderando i contenuti. Inoltre, agli utenti europei dei social network dovrebbe essere offerta nuovamente l’opzione di visualizzare i contenuti in ordine cronologico anziché basati su algoritmi.

Le piattaforme coinvolte e le reazioni

Scaduto il termine di adattamento, il Digital Services Act dovrà ora essere rispettato da tutte le piattaforme online con almeno 45 milioni di utenti attivi al mese, tra cui Amazon Store, AppStore, Booking, Facebook, Google, Instagram, LinkedIn, TikTok, Twitter (ora chiamato “X”), Wikipedia, YouTube e Zalando.
Mentre Meta ha risposto positivamente creando un “Centro di Trasparenza” con informazioni sugli algoritmi utilizzati, Amazon ha presentato ricorso alla Corte di giustizia dell’UE per annullare la decisione che l’ha classificata come grande piattaforma online con obblighi aggiuntivi, come il monitoraggio di contenuti di odio e disinformazione. Anche Zalando ha presentato un ricorso simile.

Cosa succede in caso di mancato rispetto

Le piattaforme che violeranno le regole del Digital Services Act, nonostante il rispetto delle richieste di adeguamento, saranno soggette a multe fino al 6% del loro fatturato annuo e, in caso di recidiva, potrebbero subire il divieto di operare nell’Unione Europea.

In Italia le aziende non sono ancora pronte per ChatGPT

I dipendenti italiani considerano la possibilità di utilizzare in ambito lavorativo strumenti di Intelligenza artificiale come ChatGPT, ma oltre il 40% non sa come funzioni l’elaborazione delle informazioni. Inoltre, la maggior parte chi utilizza l’AI non dà grande importanza ai problemi legati alla privacy e alla veridicità dei contenuti. Secondo la ricerca di Kaspersky, ‘ChatGPT, alleato o nemico in ambito lavorativo?’, condotta su 1.000 dipendenti italiani tra i 18 e i 55 anni, il 53% del campione prende infatti in considerazione l’utilizzo dell’Intelligenza artificiale in ambito professionale, ma solo poco meno del 10% ne sta già sfruttando le potenzialità.

Un valido aiuto nella creazione, revisione e traduzione di testi

L’AI, e in particolare ChatGPT, rappresenta uno degli esempi più attuali di innovazione tecnologica applicata ai modelli linguistici. ChatGPT è diventato popolare in pochissimo tempo, e la sua implementazione in ambito lavorativo è una grande opportunità. Ma solo se utilizzato nel rispetto delle linee guida aziendali e delle policy di sicurezza, altrimenti rappresenta un rischio per la privacy dei dati. Di fatto, quasi la metà del campione concorda sul fatto che ChatGPT possa essere un valido aiuto nella creazione, revisione e traduzione di testi (48%), così come per annotazioni rapide, appunti presi durante le riunioni o riassunti (46%).  Rimangono invece ancora meno sfruttate attività come sviluppare e migliorare altre applicazioni di IA, come i chatbot (16%) o addirittura la scrittura di codice sorgente (9%).

Ma come funziona? Solo il 13% lo sa

Circa il 57% dei dirigenti o responsabili non è però a conoscenza dell’utilizzo dei tool di AI in azienda, e il 32% dei dipendenti non ritiene necessario informarli.
Un dato che non stupisce, visto che il 77% degli intervistati nasconderebbe ai colleghi il fatto di utilizzare strumenti di AI, o addirittura lo ha già fatto. Del resto, più del 60% delle aziende italiane non ha definito linee guida o regole da seguire nell’utilizzo di questi strumenti, esponendo così l’azienda a possibili rischi. Il 14% dei dipendenti che lavorano in aziende che invece hanno definito regole o linee guida si lamenta perché sono poco chiare e comprensibili. Inoltre, solo il 13% sa esattamente come funziona l’elaborazione delle informazioni da parte di ChatGPT, mentre il 44% ne ha solo una vaga idea, o nessuna conoscenza (43%).

Poco attenti alla privacy

Inoltre, il 50% dichiara di condividere dati personali, informazioni destinate esclusivamente ad uso interno, documenti sensibili e molto altro. Di questi, circa il 20% non ritiene importante mantenere private le proprie ricerche, mentre addirittura il 30% pur sapendo che non bisogna condividere dati sensibili, lo fa ugualmente non anonimizzando le informazioni e rendendo quindi possibile che vengano ricondotte a un individuo o azienda specifica, con conseguenze importanti su privacy e sicurezza. Anche la veridicità e l’autorevolezza dei contenuti ottenuti dagli strumenti AI non preoccupa troppo i dipendenti: il 49% è disposto a utilizzare le risposte ottenute senza controllare la correttezza delle informazioni.

Oltre 7 italiani su 10 temono i furti in casa mentre sono in vacanza 

Più di 14 furti in casa ogni ora, corrispondenti a 340 al giorno e oltre 124.000 in un anno: sono questi i numeri allarmanti che emergono dai dati ufficiali del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. È comprensibile, quindi, il motivo per cui molti italiani sono preoccupati di lasciare la propria abitazione, soprattutto durante il periodo estivo. Secondo un’indagine commissionata da Facile.it all’istituto di ricerca EMG Different, questa paura è condivisa da quasi 7 italiani su 10, equivalenti a più di 29 milioni di individui.

Pochi stipulano un’assicurazione

Nonostante il timore diffuso, l’indagine evidenzia che sono ancora pochi coloro che scelgono di tutelarsi con una copertura assicurativa contro i furti in casa, solo il 19% dei rispondenti. Questa assicurazione fa parte delle polizze casa multirischio, che proteggono i proprietari dell’immobile da una vasta gamma di eventi dannosi. Attivando la garanzia contro i furti, in caso di effrazione l’assicurato può essere rimborsato non solo per i beni sottratti, ma anche per eventuali danni causati dai ladri. Tuttavia, spesso è necessaria una copertura specifica per oggetti di valore come gioielli, opere d’arte o strumenti musicali. I prezzi delle polizze possono variare a seconda di diversi fattori, tra cui le caratteristiche dell’immobile (tipo, dimensioni, ubicazione) e le garanzie accessorie aggiunte. Secondo l’analisi di Facile.it, per assicurare un appartamento di 100 mq a Milano, i prezzi per una polizza base partono da poco più di 75 euro all’anno, ma salgono a 110 euro se si aggiunge la copertura furto e circa 130 euro per la protezione di oggetti di valore.

Misure creative e tecnologia

Quando si adottano delle misure, vengono utilizzate soluzioni più o meno creative per ridurre i rischi di furto in abitazione. La soluzione più diffusa, adottata dal 46% dei rispondenti (circa 19,5 milioni di individui), è quella di affidare la sicurezza della propria abitazione a familiari o vicini di casa, chiedendo loro anche di svuotare la cassetta delle lettere per mascherare l’assenza dei proprietari nel 13% dei casi. 
Circa 12 milioni di italiani (29%) hanno invece optato per la tecnologia, installando un sistema di videosorveglianza per proteggere l’appartamento, mentre il 14% ha dotato le finestre di inferriate. Per nascondere l’assenza prolungata da casa, ci sono diverse strategie adottate dai rispondenti: circa 3 milioni di persone dichiarano di lasciare alcune luci accese, mentre circa 2,1 milioni lasciano accesa la TV o la radio. Circa 1,3 milioni di individui (3% dei rispondenti) si affidano a vigilantes privati.

I consigli per proteggere la casa

Facile.it ha stilato un vademecum in 5 punti per aiutare le persone a partire serenamente per le vacanze. Tra i consigli, si raccomanda di dotare l’appartamento di un sistema di sicurezza come la videosorveglianza o le inferriate, caricare l’auto in un luogo coperto, ridurre i segni di assenza come la posta accumulata o l’erba incolta, stipulare un’assicurazione per la casa che includa la copertura contro i furti e limitare la condivisione di informazioni sui social media per evitare di rivelare la propria assenza.

Allarme false prenotazioni: le cyber-truffe non vanno in vacanza

Se i biglietti aerei, le prenotazioni e i pacchetti vacanza sono troppo economici spesso nascondono una truffa. Con le vacanze alle porte, molti italiani sono alla ricerca di destinazioni affascinanti, alloggi convenienti e voli a prezzi ragionevoli. Ma secondo i ricercatori Kaspersky numerosi siti web fraudolenti offrono voli aerei a basso costo per sottrarre denaro o informazioni personali, come dati bancari e identificativi, che possono essere rivenduti sul dark web, senza ovviamente fornire i biglietti prenotati. Queste pagine di phishing, ben realizzate, spesso imitano noti servizi di compagnie aeree e aggregatori di biglietti. In alcuni casi mostrano perfino i dettagli reali dei voli, inviando richieste di ricerca ad aggregatori legittimi e riportando le informazioni ricevute.

Alloggi troppo belli per essere veri

Anche falsi annunci online di case o appartamenti per le vacanze sono una truffa molto comune. I cyber criminali creano annunci interessanti su piattaforme popolari, mostrando foto affascinanti e offrendo prezzi bassi per attirare i viaggiatori. Ma una volta effettuati prenotazione e pagamento, l’alloggio si rivela inesistente. Anche le prenotazioni alberghiere non sono esenti dalle truffe. Attraverso siti web falsi, che imitano piattaforme legittime di hotel booking, i truffatori invitano gli utenti ad accedere con le credenziali di Facebook o Google. In questo modo, i criminali ottengono l’accesso non autorizzato a social media o account e-mail delle vittime per mettere a segno furti di identità, transazioni non autorizzate e altre attività dannose.

Sondaggi che nascondo brutte sorprese

Alcuni siti web o e-mail ingannevoli invitano a completare un sondaggio di viaggio per ottenere una ricompensa sostanziosa, facendo leva sul desiderio di guadagno e sulla disponibilità a condividere le proprie opinioni. Con la scusa dei requisiti di idoneità, o la promessa di premi che non saranno mai consegnati, i criminali raccolgono dati personali, come nome, indirizzo, numero di telefono e dettagli finanziari, utilizzandoli per scopi fraudolenti. Le vittime stesse sono utilizzate come strumento per diffondere la truffa, invitandole alla condivisione del sito con i propri amici affinché possano ricevere il premio.

Un po’ di diffidenza non guasta

“I truffatori sono sempre alla ricerca di viaggiatori inconsapevoli, puntando sul loro entusiasmo nell’organizzazione delle vacanze – commenta Olga Svistunova, Security Expert di Kaspersky -. Dai falsi aggregatori di biglietti alle truffe per l’alloggio e i sondaggi, i cybercriminali utilizzano diverse tecniche per rubare denaro e informazioni sensibili. È fondamentale che i viaggiatori prestino attenzione quando organizzano un viaggio online. Quindi, verificare l’autenticità dei siti web, utilizzare piattaforme di prenotazione affidabili e non condividere mai informazioni personali o finanziarie senza aver effettuato una verifica”.
Insomma, un po’ di diffidenza può contribuire a garantire una vacanza sicura e senza truffe. 

Il 60% delle imprese in transizione verso la ESG: a che punto siamo?

Le imprese italiane che non hanno ancora avviato un percorso di transizione sostenibile e che mostrano un livello molto basso di adeguatezza ESG rappresentano solo il 8% del totale. Quasi il 60% ha iniziato a intraprendere i primi passi, ma con un livello medio e basso di adeguatezza ESG, mentre oltre il 30% si trova in uno stadio avanzato. Questo è uno dei principali risultati emersi dall’ESG Outlook di CRIF, che analizza lo stato delle questioni ambientali, sociali e di governance in Italia e fornisce una panoramica sulla posizione delle imprese italiane nel loro percorso verso la sostenibilità.

Esaminate 15.000 aziende italiane

CRIF ha selezionato un campione rappresentativo di circa 150.000 aziende italiane alla fine del 2022 e le ha analizzate utilizzando il proprio patrimonio informativo e analitico, offrendo così una prospettiva originale sulle sfide della sostenibilità. Un elemento chiave dell’analisi è lo score ESG, che sintetizza il livello di adeguatezza verso la sostenibilità di ciascuna azienda, considerando il settore di appartenenza e l’area geografica in cui si trova. Lo score ESG di CRIF riassume più di 150 indicatori relativi ai componenti ambientali (E), sociali (S) e di governance (G), raggruppati successivamente secondo le aree informative definite dalla normativa come fattori EBA.

Cosa dice lo Score

Lo score ESG di CRIF si distribuisce in classi che rappresentano il livello di adeguatezza verso i fattori ESG: da molto alto, che include le aziende migliori, a molto basso, che rappresenta le aziende peggiori. Dall’analisi emerge che quasi il 60% delle aziende italiane si attesta ancora a livelli medio-bassi di adeguatezza ESG, includendo anche settori che hanno appena iniziato la transizione verso la sostenibilità, mentre oltre il 30% si trova a uno stadio avanzato. In particolare, le aziende con un fatturato superiore a 10 milioni di euro sono più avanzate nel percorso di transizione verso un’economia più sostenibile, con una maggiore concentrazione nelle classi ad alta e molto alta adeguatezza ESG (39% rispetto al 33% delle imprese con fatturato inferiore). Le piccole e medie imprese (PMI), che non raggiungono i 10 milioni di euro di fatturato, rappresentano il segmento che ha maggiormente bisogno di supporto nella transizione sostenibile.

Il fattore ambientale

Tra i principali fattori ESG analizzati, che contribuiscono alla valutazione complessiva delle PMI verso la sostenibilità, c’è il fattore ambientale, che attualmente riceve maggiore attenzione anche dalle autorità di vigilanza. CRIF ha misurato il livello di adeguatezza nella gestione dei rischi ambientali attraverso lo Score Ambientale (Score E). L’analisi ha evidenziato una notevole eterogeneità tra le PMI italiane nelle diverse regioni e settori. Lombardia e Piemonte risultano le regioni migliori secondo lo score ambientale, con oltre il 60% delle aziende che si posiziona a un alto livello di adeguatezza. Tra i settori più performanti secondo lo score ci sono l’immobiliare e le attività ricreative.

L’impatto dei rischi fisici

Un altro fattore significativo analizzato dall’ESG Outlook di CRIF è l’impatto dei rischi fisici, che misura il potenziale impatto economico e finanziario derivante dai cambiamenti climatici e dal degrado ambientale. Ci sono due macrocategorie: rischi cronici, legati ai cambiamenti climatici in corso, e rischi acuti, come disastri naturali improvvisi. Il 5,9% delle PMI è a rischio fisico acuto alto o molto alto. Per quanto riguarda i rischi fisici cronici, il 16% delle imprese è molto esposto. 

Gli impatti finanziari

L’ESG Outlook ha anche sviluppato un modello proprietario per valutare gli impatti finanziari a lungo termine della transizione verso la sostenibilità. Questo modello tiene conto dei costi, dei ricavi e degli investimenti, offrendo una visione chiara dei possibili scenari futuri. I risultati mostrano una notevole variabilità dei costi della transizione verso un’economia sostenibile tra i diversi settori. I settori ad alta intensità energetica come l’estrazione mineraria, i trasporti, la chimica e la lavorazione dei prodotti metallici mostrano impatti significativi, con costi previsti che variano dal 3% all’8% del fatturato annuo. Impatti moderati, ma comunque rilevanti, si osservano nei settori della lavorazione di prodotti non metallici e della produzione e distribuzione di elettricità e gas, con costi che rappresentano circa il 2-3% del fatturato annuo. I settori dei servizi, delle attività immobiliari e del commercio mostrano un impatto marginale, inferiore all’0,5% annuo. In generale, si evidenzia una forte correlazione tra il livello attuale di intensità delle emissioni e l’impatto della transizione.

Pmi al bivio: più investimenti per innovazione, meno per “cultura” digitale

Le Pmi italiane sono al bivio dell’innovazione. Nel 2022 sono aumentati gli investimenti in digitale rispetto al 2021, ma permane un forte divario culturale. Segno di una mancata consapevolezza tra le piccole e medie imprese riguardo le opportunità offerte dalla trasformazione digitale. Secondo i dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle Pmi della School of Management del Politecnico di Milano, il 43% delle Pmi dichiara infatti di essere ‘avanti nel processo di digitalizzazione’, o ‘puntare sempre di più sul digitale’, ma il 35% stenta a riconoscere alla digitalizzazione un ruolo centrale all’interno del loro settore economico di riferimento. Il 51% delle Pmi non svolge attività in azienda per sviluppare e potenziare le competenze digitali, e solo l’8% punta a integrare nell’organico figure Stem o di alta formazione.

Processi ancora poco digitalizzati per marketing e HR 

Il divario tra investimenti e livello di competenze si ripercuote direttamente sulla digitalizzazione dei processi, spesso portata avanti con strumenti non avanzati. Ad esempio, le attività di marketing e lead generation sono composte da attività tradizionali, come azioni sul campo dei venditori e fiere di settore (48%), o al massimo pubblicità online (30%). A mancare è spesso la raccolta ed elaborazione dei dati raccolti mediante CRM, adottata solo dal 42% delle Pmi. Carente è anche la digitalizzazione dell’area risorse umane, dove principalmente si utilizzano applicativi rivolti alla gestione di presenze, turni e orari lavorativi.

Cybersecurity: soluzioni base nel 96% dei casi

A livello di integrazione di processi/funzioni aziendali il 40% ha introdotto un software ERP (Enterprise Resource Planning), ma rimane elevato il numero di Pmi che non sono interessate a introdurre questa tecnologia. A livello di processi direzionali, imprenditore e vertice strategico sono i principali promotori della digitalizzazione, ma spesso le scelte di business non sono guidate da una valutazione di performance attraverso dati raccolti in azienda. C’è poi attenzione verso la cybersecurity, ma emerge il divario tra imprese che adottano solo soluzioni base (96%) o anche avanzate (28%).

Risorse e progetti poco mirati a livello nazionale

Le iniziative realizzate a livello nazionale a favore della digitalizzazione delle imprese mostrano un’assenza di focalizzazione esclusiva verso le Pmi. Solo 2 progetti su 10 sono esclusivamente indirizzati alle Pmi e di questi 2 su 3 sono rivolti indiscriminatamente a tutte le imprese, senza considerarne il settore o la filiera come fattore discriminante. A livello regionale, invece, le misure mirate e a specifici settori o distretti risultano più frequenti. Per quanto riguarda la ricerca di risorse finanziarie, in generale le Pmi faticano a intercettare tempestivamente i bandi ai quali potrebbero aderire, e qualora siano in grado di accedervi, hanno difficoltà a impostare una programmazione di medio-lungo termine. Una criticità che enfatizza l’assenza di una strategia digitale a favore di un approccio estemporaneo dettato da contingenze esterne e disponibilità di fondi.

Sos eventi climatici estremi: quali sono gli ultimi dati in Italia?

La denuncia arriva da Legambiente, che in occasione della giornata mondiale dell’ambiente ha diffuso i nuovi dati del suo Osservatorio Città Clima. Dall’inizio del 2023 gli eventi climatici estremi in Italia sono aumentati del +135% rispetto all’anno precedente. E da gennaio a maggio di quest’anno si sono registrati 122 eventi estremi, contro i 52 dello stesso periodo del 2022. In particolare, 30 allagamenti da piogge intense (+87,5%), contro i 16 dei primi 5 mesi del 2022. Le regioni più colpite da eventi climatici estremi sono sei: Emilia-Romagna (36), Sicilia (15), Piemonte (10), Lazio (8), Lombardia (8), e Toscana (8). 

Servono interventi concreti a livello nazionale ed europeo

Per aiutare l’ambiente e contrastare la crisi climatica servono politiche climatiche più ambiziose, accompagnate da interventi concreti a livello nazionale ed europeo. L’Italia deve quindi accelerare, sia approvando il Piano di adattamento climatico di cui è ancora sprovvista sia prevedendo risorse adeguate. Inoltre, deve aggiornare entro fine giugno il PNIEC, e approvare una legge attesa da 11 anni contro il consumo di suolo. Sono le tre azioni prioritarie su cui l’Italia a oggi è in forte ritardo, mentre a livello europeo è importante definire un Patto di solidarietà per il clima tra Paesi industrializzati, emergenti e in via di sviluppo, per raggiungere zero emissioni nette entro il 2050 a livello globale.

“Bisogna invertire al più presto la rotta”

“La fotografia scattata dal nostro Osservatorio Città Clima sugli eventi climatici estremi parla chiaro – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente -, bisogna invertire al più presto la rotta. L’alluvione che ha colpito nelle scorse settimane l’Emilia-Romagna e le Marche, ma anche le violente piogge che si sono abbattute in questi ultimi giorni in Sardegna e in altre regioni d’Italia, sono l’ennesima dimostrazione di quanto la crisi climatica stia accelerando il passo causando ingenti danni all’ambiente, all’economia del Paese, e perdite di vite umane. Al Governo Meloni chiediamo un’assunzione di responsabilità perché per affrontare il tema della crisi climatica serve una decisa volontà politica con interventi concreti non più rimandabili per riparare gli errori del passato, come ad esempio tombare i fiumi, costruire in aree non idonee o in prossimità dei corsi d’acqua”.

“Evitare che il Paese rincorra sempre l’emergenza”

“Ora bisogna voltare pagina – continua Stefano Ciafani – e i primi strumenti per farlo sono proprio il piano di adattamento al clima e le risorse per attuarlo, l’aggiornamento del PNIEC, una legge contro il consumo di suolo. Senza dimenticare che il Paese ha bisogno di più politiche territoriali di prevenzione e campagne informative di convivenza con il rischio. Solo così si potrà evitare che l’ultima tragedia sia la penultima e che il Paese rincorra sempre l’emergenza”.

Per l’84% dei lavoratori italiani le competenze reali valgono più dei titoli di studio 

La maggioranza dei lavoratori italiani (84%) ritiene che le competenze reali siano più importanti dei titoli di studio o del percorso professionale, ma solo 1 su 10 (13%) afferma di possedere competenze in materia di intelligenza artificiale, considerata oggi una delle competenze digitali più richieste. Questo divario tra le competenze richieste dalle aziende e quelle possedute dalla forza lavoro è evidente. Mentre l’82% dei lavoratori italiani dichiara di utilizzare competenze digitali nel proprio lavoro quotidiano, pochi di loro possiedono competenze avanzate come l’intelligenza artificiale e lo sviluppo di app.

Intelligenza artificiale e sviluppo di app le skills più richieste

Le competenze digitali più richieste nel mondo del lavoro includono l’intelligenza artificiale e lo sviluppo di app, ma sono tra le meno utilizzate nei ruoli quotidiani. Tuttavia, i lavoratori italiani sono interessati ad apprendere nuove conoscenze tecnologiche, il che suggerisce che le aziende possono contribuire a colmare il divario fornendo opportunità di formazione continua ai dipendenti.

Migliorare le competenze migliorerà la produttività

A livello globale, la maggior parte dei leader aziendali ritiene che lo sviluppo delle competenze digitali dei dipendenti avrà un impatto positivo sulla produttività, sulle prestazioni del team e sul problem solving. In Italia, l’interesse per l’intelligenza artificiale è in aumento, con il 67% dei lavoratori entusiasti all’idea di utilizzarla nel proprio lavoro. Anche i leader aziendali mostrano interesse, con il 56% che afferma che la propria azienda sta valutando modi per utilizzare l’intelligenza artificiale generativa.

Solo il 10% dei lavoratori utilizza oggi l’IA

Nonostante l’importanza crescente per il futuro del lavoro, solo il 10% dei lavoratori italiani afferma di utilizzare l’intelligenza artificiale nel proprio ruolo attuale. Solo una percentuale ancora più bassa coinvolge competenze digitali correlate come la crittografia, la cyber security e la programmazione di app. Migliorare le competenze è il percorso da seguire, e la maggior parte dei lavoratori (98%) ritiene che le aziende dovrebbero dare priorità alle competenze di intelligenza artificiale nella loro strategia di sviluppo dei dipendenti.

Necessario investire in tecnologia

L’investimento nella tecnologia e nelle competenze adeguate è fondamentale per affrontare le sfide attuali e garantire la resilienza aziendale. Le aziende devono integrare processi di intelligenza artificiale e automazione e formare i propri dipendenti per utilizzare al meglio queste risorse. I programmi di sviluppo delle competenze dovrebbero essere parte integrante del piano strategico di ogni manager, al fine di sfruttare al massimo le opportunità offerte dagli strumenti tecnologici.

Prodotti per l’infanzia, cercasi promozioni: +44% nei primi mesi del 2023

Un’analisi condotta da DoveConviene, l’app che aiuta i consumatori a trovare le migliori offerte su tutto il territorio nazionale, evidenzia il ruolo strategico delle promozioni nel tutelare il potere di acquisto anche delle famiglie con figli molto piccoli. Il caro prezzi avanza, e non sembra dare segnali di arresto. Le famiglie italiane sono sempre più orientate ad acquistare prodotti che consentano un risparmio effettivo sulla spesa, anche per quanto riguarda i prodotti per la prima infanzia, come omogenizzati, pannolini, passeggini, vestiti e giocattoli.
Nel 2022 è infatti aumentato anche il costo medio per l’alimentazione del neonato, nonché dei pannolini e i passeggini. E nei primi tre mesi del 2023, DoveConviene registra un aumento del +44% dell’interesse delle famiglie verso queste categorie di prodotti in promozione.

Aumenti: alimenti per neonati +11,3%, passeggini +30,4%

In particolare, rispetto al 2021, l’alimentazione del neonato è aumentata del +11,3%, del +13,6% i pannolini e del +30,4% i passeggini. Un trend che quindi continua a spingere le famiglie verso un ricorso sempre maggiore allo strumento delle promozioni, allo scopo di tutelare il proprio potere di acquisto.
Circa il 6,2% delle ricerche totali su DoveConviene di prodotti in offerta sono relative ai prodotti per l’infanzia, e nel 2022 sono state oltre due milioni le interazioni con i prodotti comunicati all’interno dei volantini digitali legati al mondo infanzia. E particolarmente ambite risultano le offerte relative ai pannolini.

I più ricercati sono i pannolini

Nella top 10 dei prodotti più ricercati, in nona posizione, si infatti trova la parola generica ‘pannolini’, mentre in sesta, quella di un noto brand specializzato in questo prodotto. Inoltre, scorrendo la classifica delle offerte top 100, si trova un altro brand di pannolini. E sul totale delle ricerche effettuate nel 2022 per i prodotti per l’infanzia i pannolini rappresentano il 75,60%.
Oltre ai pannolini, gli altri prodotti per l’infanzia più ricercati nel 2022 sono stati l’alimentazione del neonato (14,32%), i giocattoli (4,48%), gli accessori per passeggiare (2,99%), gli accessori per la casa (1,22%), l’abbigliamento per i bambini (0,84%), l’arredamento (0,34%) e l’abbigliamento premaman (0,11%). La ricerca di ciucci si è invece attestata allo 0,09%.

Biberon, latte in polvere e omogenizzati all’attenzione del Garante dei prezzi

Di fatto, biberon, latte in polvere, pannolini e omogenizzati sono i nuovi prodotti all’attenzione del Garante dei prezzi. Il governo ha già provato a contrastare l’impennata dei prezzi abbassando l’Iva sui prodotti per l’infanzia, dal 22% al 5%, ma non è bastato.
“Non tutto il taglio dell’Iva è andato a beneficio davvero delle famiglie”, riconosce il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, nel suo intervento agli Stati generali della natalità, come riferisce SkyTg24. Per questo motivo, il ministro ha quindi annunciato un intervento sui prodotti dell’infanzia come quello avvenuto sulla pasta, al centro della prima riunione della commissione di allerta rapida sui prezzi al Mimit.

Come creare un’immagine coordinata per un negozio

L’immagine coordinata di un negozio è un elemento fondamentale per il successo di una attività commerciale e dunque del business.

Se non sai di cosa stiamo parlando, l’immagine coordinata è l’insieme di elementi grafici, visivi e comunicativi che compongono l’identità del negozio, creando insieme una percezione univoca e riconoscibile del brand.

Nulla di complicato, non preoccuparti. Di seguito parleremo proprio di come creare un’immagine coordinata per un negozio,  descrivendo i vari passaggi in maniera semplice e chiara.

Passaggi per creare un’immagine coordinata

Creare un’immagine coordinata per un negozio richiede una pianificazione accurata, assieme ad  una buona dose di creatività.

Ecco alcuni dei passaggi necessari per crearne una veramente efficace:

  1. Analisi del brand: prima di procedere con la creazione di un’immagine coordinata, è importante analizzare il brand e la sua personalità. Questo aiuterà a definire gli elementi visivi come i colori e i materiali giusti, che possano rappresentare al meglio il marchio.
  2. Scelta dei colori: i colori sono un elemento fondamentale dell’immagine coordinata. Scegliere i colori giusti può fare la differenza tra una percezione positiva o negativa del brand. È importante scegliere i colori in base alla personalità del marchio e alle emozioni che si vogliono trasmettere ai clienti.
  3. Design del logo: il logo è uno dei principali elementi visivi dell’immagine coordinata. Il suo design deve essere semplice, riconoscibile e rappresentare al meglio l’azienda.
  4. Scegliere i materiali: i materiali utilizzati per l’arredamento e le decorazioni del negozio devono essere in linea con l’immagine coordinata. È importante scegliere materiali che durino nel tempo e che siano in grado di comunicare al meglio il valore del marchio.
  5. Definire le linee guida: definire delle linee guida cui attenersi per l’immagine coordinata aiuta a mantenere una linea di continuità in tutti gli elementi visivi e comunicativi del brand. Tali regole devono includere le istruzioni per l’uso dei colori, del logo e dei materiali.

Scegliere i colori e i materiali giusti

Scegliere i colori e i materiali giusti è fondamentale per creare un’immagine coordinata che sia veramente efficace. I colori devono essere scelti in base alla personalità del brand e alle emozioni che si vogliono trasmettere ai clienti.

Ad esempio, i colori caldi come il rosso e l’arancione possono creare un’atmosfera accogliente e amichevole, mentre i colori freddi come il blu e il verde possono creare un’atmosfera più professionale e rilassante.

Anche la scelta dei materiali è importante per l’immagine coordinata. I materiali devono essere scelti in base al messaggio che desideriamo trasmettere al pubblico e al tipo di prodotto venduto.

Ad esempio, se il brand vende prodotti di alta qualità, è importante utilizzare materiali di alta qualità come il legno massello o il vetro.

Se invece intendi dare del tuo negozio una immagine il più possibile “green” e sostenibile, scegliere degli ottimi mobili in cartone potrebbe essere la scelta vincente.

Gli elementi dell’immagine coordinata

L’immagine coordinata di un negozio è composta da diversi elementi visivi e comunicativi. Di seguito sono riportati i principali:

  • Logo: il logo è il simbolo del brand e deve essere riconoscibile e rappresentare al meglio il brand.
  • Colori: i colori utilizzati nel negozio devono essere in linea con la personalità del brand e trasmettere le emozioni giuste ai clienti.
  • Materiali: i materiali utilizzati per l’arredamento e le decorazioni del negozio devono essere in linea con l’idea del negozio e comunicare la storia e l’importanza del marchio.
  • Vetrina: la vetrina del negozio deve attirare l’attenzione dei clienti, presentando eventuali elementi che si rifanno al brand.
  • Packaging: il packaging dei prodotti deve richiamare l’immagine coordinata e dunque essere riconoscibile.

Conclusioni

Creare un’immagine coordinata per un negozio richiede certamente capacità di creative e attenzione ai dettagli, ma gli sforzi in questo campo vengono ripagati negli anni.

È importante partire sempre dall’analisi del brand per creare una percezione univoca e riconoscibile, che ne sia veramente rappresentativa, per aumentare la visibilità del negozio e creare un legame emotivo con i clienti.