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Ambienti di lavoro, 1 azienda su 3 li vuole trasformare

Un’azienda su tre vuole trasformare i propri spazi di lavoro, allo scopo di renderli più modulari e adatti alle nuove esigenze. Obiettivo finale, vincere in flessibilità e soprattutto assicurare ai lavoratori un miglior contesto professionale e una maggiore qualità della vita lavorativa. E’ questo un trend registrato anche da Sodexo, multinazionale francese leader nei servizi di ristorazione, che ha fatto una disamina del fenomeno.

Come è mutato nel tempo il concetto di lavoro 

“Il concetto di lavoro è mutato progressivamente nel tempo” spiega Stefano Biaggi, Presidente e AD di Sodexo Italia. “Si è passati dal vivere per lavorare al lavorare per vivere, ben rappresentato dagli anni ‘80 e ’90. Oggi la nuova frontiera è il lavorare per cambiare: andare a lavorare per cambiare noi stessi e cambiare il mondo in meglio. È in questo nuovo scenario che Sodexo ha deciso di annunciare Vital Spaces, la nuova proposta di valore per le aziende che vogliono intraprendere questo percorso di sperimentazione e innovazione. Sodexo è un’azienda di servizi a valore aggiunto: il servizio di ristorazione, storicamente il nostro core business, oggi incide per il 70% del fatturato mentre gli altri servizi Soft & Hard FM, che portano un valore all’esperienza del dipendente in azienda tramite la gestione e la cura degli spazi, pesano per il 30%”. Conclude l’AD: “La nostra previsione è quella di una crescita nei servizi FM (Facilities Management) che porteranno nel prossimo triennio ad una suddivisione del fatturato rispettivamente al 60% per il servizio di ristorazione e al 40% per gli altri servizi”. 

Cambia il modo in cui si utilizzano gli spazi

“Il ruolo dei servizi si sta trasformando perché sta cambiando il modo in cui si utilizzano gli spazi – spiegano i ricercatori interpellati da Sodexo Italia Carmelo di Bartolo, Docente di Creatività e Progettazione Iulm e di Ergonomia Cognitiva Unisob, Gianandrea Ciaramella Architetto e professore associato del Politecnico e l’esperto di smartworking di Workitect Luca Brusamolino -. Gli spazi degli uffici sono sempre più spesso oggetto di una trasformazione che comporta una loro riduzione o rimodulazione per un impatto più sostenibile dell’impresa nell’ambiente. Sono spazi sempre più flessibili e polifunzionali perché le medesime aree devono essere destinate ad accogliere diversi tipi di attività durante la giornata o diverse tipologie di lavoro: di gruppo o individuale. Sono spazi che devono permettere l’incontro delle persone, indispensabile per favorire la creatività e il senso di appartenenza all’azienda. Il lavoro da remoto, infatti non è parimenti efficace quando è necessario stimolare la creatività e l’attaccamento all’azienda”. 

Far star bene le persone

“Quello che le aziende stanno sperimentando sono soluzioni e servizi per far vivere bene le persone in spazi gradevoli e facili da usare” aggiungono gli esperti. “Soluzioni che permettano di avere a disposizione aree di dimensioni e con caratteristiche adatte agli obiettivi dell’attività dei lavoratori: una postazione individuale insonorizzata o un ambiente ampio dove riunirsi o ancora una sala dove lavorare senza distrazioni. Ancora, aree per dare prestigio all’azienda e messe a disposizione dei collaboratori così da valorizzarli e farli sentire strategici”.

Perchè per i top manager italiani il cambiamento climatico è una priorità assoluta?

Per il 52% dei CxO italiani la necessità d’interventi rapidi e mirati per contrastare il cambiamento climatico è la questione più urgente da affrontare nel 2023, e il 63% ritiene che il cambiamento climatico nei prossimi tre anni impatterà su strategie e attività aziendali. Secondo il CxO sustainability report 2023 – accelerating the green transition, svolto da Deloitte tramite interviste ai CxO dei principali settori industriali di 24 Paesi, il cambiamento climatico è una priorità assoluta per le organizzazioni. Tanto da essere in cima all’agenda dei vertici aziendali italiani. A quanto emerge dall’indagine, presentata in occasione del World economic forum di Davos, le organizzazioni italiane stanno aumentando il proprio impegno, e rispetto alla media globale del 75%, 8 leader italiani su 10 hanno già accresciuto gli investimenti legati alla sostenibilità. 

“Essere parte attiva della transizione è una scelta ineludibile”

In Italia le imprese stanno affrontando la sfida del cambiamento climatico soprattutto con un maggiore utilizzo di materiali sostenibili (71% vs 59% globale) e l’adozione di tecnologie pulite (64% vs 54%).
“Essere parte attiva della transizione verso un’economia a basse emissioni rappresenta una scelta ineludibile, volta ad assicurare la continuità e la competitività delle imprese – sottolinea Stefano Pareglio, presidente di Deloitte climate & sustainability -: significa, in pratica, orientare l’evoluzione del modello di business in un’ottica di medio-lungo periodo. Dalla ricerca emerge come questa consapevolezza sia diffusa nei livelli apicali del management aziendale, anche più di quanto ci si potrebbe attendere”.

Manca il sostegno delle istituzioni

Per conseguire una trasformazione significativa sono necessarie anche altre azioni, quali lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi rispettosi dell’ambiente (66% vs 49% globale), la costituzione di un ecosistema di partner fondato su criteri di sostenibilità (61% vs 44%) e la realizzazione di interventi volti a rendere più sicure le strutture aziendali in caso di eventi climatici estremi (50% vs 43%).
Si registrano però alcune barriere che ostacolano la transizione ecologica. In particolare, costi elevati delle iniziative (25% vs 19%), focus ancora orientato al breve termine (21% vs 18%), e mancanza di sostegno da parte delle istituzioni (21% vs 12%).

I benefici finanziari dell’economia a basse emissioni

Diventare attori attivi nella transizione verso un’economia a basse emissioni può trasformarsi in un fattore competitivo importante e distintivo, in grado di garantire diversi benefici anche nel rapporto con i vari stakeholder. Secondo i CxO italiani, riporta Adnkronos, questa scelta consente di migliorare la riconoscibilità e la reputazione del proprio brand (70% vs 52%), il morale e il benessere dei dipendenti (54% vs 42%) e i ritorni per gli investitori (46% vs 31%). Meno considerati a livello nazionale e internazionale, i benefici di natura finanziaria di cui potrebbero avvantaggiarsi le imprese nel lungo periodo, soprattutto in termini di valore delle attività (21% vs 25%), di costo dell’investimento (14% vs 24%) o di ricavi (11% vs 23%).

Sicurezza: organizzazioni finanziarie più esposte ai rischi per poca formazione 

Le società finanziarie sono considerate un bersaglio redditizio da parte dei cybercriminali. Questo, sia per i forti flussi di denaro registrati, e le enormi quantità di dati sensibili dei clienti, sia per il grado di digitalizzazione del settore, che dall’inizio della pandemia ha dovuto gestire l’accesso da remoto dei dipendenti. Il comportamento e le competenze dei dipendenti in materia di rischi informatici sono infatti un fattore da non sottovalutare nel settore finanziario italiano, perché molti dipendenti non ricevono una formazione IT adeguata. Secondo la ricerca condotta da Kaspersky, Sicurezza IT: focus sul settore finanziario in Italia, durante la pandemia un quarto delle aziende italiane del settore bancario e finanziario ha subito una violazione causata volontariamente, o involontariamente, dai dipendenti. 

Smart-working: una potenziale vulnerabilità

Il 13% degli intervistati considera i dipendenti che non conoscono policy e pratiche aziendali relative alla sicurezza la principale minaccia. Percentuale che cresce al 22% tra le aziende di piccole e medie dimensioni, e che si riduce all’8% nelle grandi aziende. Il 7% indica smart-working e lavoratori da remoto come potenziale rischio e vulnerabilità. Tra gli intervistati è diffusa anche la consapevolezza che un minimo errore involontario possa mettere in pericolo interi segmenti dei sistemi aziendali.
I dipendenti che ignorano o non conoscono le policy aziendali sono considerati pericolosi quanto la mancanza di personale dedicato alla sicurezza IT (13%).

Una via d’accesso alla rete aziendale

Solo l’8% degli intervistati invece afferma che sono stati utilizzati programmi non aggiornati come gateway per accedere alla rete aziendale. Il 10% riferisce di aver subito attacchi tramite un service provider esterno o tramite un’azienda partner.
Che si tratti di aprire un allegato, cliccare un link infetto o effettuare il download di un software non autorizzato, i criminali informatici spesso prendono di mira i dipendenti per trovare una via d’accesso alla rete aziendale.
D’altronde, nonostante le società finanziarie garantiscano una formazione sulla sicurezza informatica al personale IT maggiore rispetto a quella offerta a qualsiasi altro ruolo professionale, c’è sicuramente ampio margine di miglioramento: le sessioni regolari di formazione dei dipendenti non sono ancora abbastanza diffuse.

Le aziende più grandi sono più “sicure”

Nelle società con oltre 1.000 dipendenti le aree con il maggior numero di personale regolarmente formato su cyber minacce e comportamenti di sicurezza informatica appartengono al reparto IT, seguiti da dirigenti e analisti. Solo un terzo dei responsabili IT (33%) dichiara che il 100% del reparto IT effettua training regolari, mentre stimano che in media due terzi del totale siano regolarmente formati (67%). Una percentuale riflessa anche tra dirigenti (64%) e altri reparti come assistenti esecutivi (61%), marketing (56%), analisti e trader (62%) e contabilità (59%).
In generale, quindi, solo poco più della metà dei dipendenti (54%-67%) ha seguito sessioni di formazione dedicate alla sicurezza informatica.

Logistica: nel 2022 il mercato cresce del +2,8%

Nel 2020, l’ultimo anno con dati disponibili a consuntivo, il valore del fatturato del mercato della logistica conto terzi, ovvero diretto ai soli clienti, era pari a 50,7 miliardi di euro, il 43,6% del valore totale della logistica in Italia (116,4 miliardi).  A fine 2022 il mercato della logistica conto terzi in Italia raggiungerà 91,8 miliardi di euro, +2,8% sul 2021. Il settore però deve affrontare forti aumenti dei costi operativi, scarsità di capacità operativa nel trasporto e nei magazzini, rallentamenti nelle supply chain internazionali e criticità a reperire energia e combustibili. L’inflazione inoltre porta una variazione negativa del fatturato in termini reali del -5,2%. Sono alcuni dati emersi dalla ricerca dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano.

Aumentano i costi di energia e carburanti

Nel 2021 la logistica ha assistito al forte aumento dei costi dei fattori produttivi, in particolare per energia e carburanti, ma la vera ‘emergenza’ è arrivata nel 2022, con i costi per l’energia elettrica più che raddoppiati (+117%), mettendo in difficoltà le Supply Chain più energivore. Il Transport Index elaborato dall’Osservatorio per monitorare l’andamento mensile del mercato, e differenziato per modalità di acquisto Contract o Spot, evidenzia per l’ambito Contract un grande aumento dei costi di trasporto, con due impennate a marzo 2022 (+5,1% rispetto a gennaio) e giugno (+8,7%), e il picco a luglio (+9,2%). Aumenti dovuti soprattutto alla componente Fuel, ma anche alle condizioni di mercato e alla mancanza di equilibrio tra domanda-offerta. L’andamento della curva di acquisto Spot ha valori ancora più elevati. 

Le aziende modificano l’impostazione dei trasporti

Il trasporto è l’area in cui la mancanza di capacità è avvertita in modo più significativo. Nel corso del 2022 il 96% delle aziende ne ha modificato l’impostazione, lavorando sulla relazione mittente-destinatario-fornitore di servizi logistici in quattro direzioni (contratti, pianificazione, visibilità, processi) declinate in modo diverso a seconda della modalità e della tipologia di servizio di trasporto. Ad esempio, nella pianificazione dei flussi, per il 59% delle aziende è aumentata la consapevolezza della ‘capacità finita’ del trasporto e della necessità di introduzione del livello tattico di pianificazione, con estensione dei vincoli legati alla ‘capacità finita’ della logistica nel Sales and Operations Planning (S&OP).

Logistica 4.0: i progetti di Digitization, Automation, Analytics

Nell’ambito Logistica 4.0 le aziende si stanno concentrando principalmente su soluzioni per la raccolta e la gestione di informazioni digitali. Il 72% delle aziende ha realizzato almeno un progetto in questo ambito, tra tablet ai varchi di accesso, sistemi RFId o sensori che raccolgono dati in modo automatico inviandoli a un sistema informativo, o ancora, API per scambiare dati tra sistemi informativi diversi, e blockchain per notarizzare i dati raccolti consentendo la certificazione delle informazioni. Si rileva poi una buona diffusione dei progetti di Automation (32%) per gestire le attività: magazzini dotati di sensoristica avanzata o soluzioni basate su flotte di mobile robot per la movimentazione dei materiali. Quanto ai progetti di Analytics (14%), nei casi più avanzati consentono di aggregare/organizzare moli di dati, produrre previsioni con AI o simulazioni basate su dati real-time, e applicare concetti di digital twin al processo logistico per valutare diversi scenari.

Terziario: si accentua il gender gap e aumentano i fabbisogni formativi

Le donne che lavorano nel settore Terziario ricorrono più spesso al part time e hanno minori possibilità di avanzamento di carriera, restando ancora in netta minoranza nel middle management.  Inoltre, la conoscenza delle tecnologie ha assunto un ruolo decisivo nel processo di vendita, e lo sviluppo di nuove competenze è diventata una necessità avvertita da tutti i quadri del settore, con il 66% delle aziende che ha reagito alle restrizioni puntando sull’e-commerce.
Sono alcuni dati emersi dalla ricerca sull’evoluzione del mercato del lavoro nel settore terziario, commissionata da Quadrifor, l’Istituto per lo sviluppo della formazione dei quadri del Terziario, ed Ebinter, l’Ente bilaterale nazionale del Terziario.

La distanza retributiva resta marcata

La distanza retributiva tra i due sessi appare ancora marcata, con significative differenze in base a titolo di studio, età, posizione geografica dell’azienda e settore di appartenenza. Tra coloro che hanno un contratto a tempo pieno e un titolo di studio elevato aumenta il divario tra la busta paga di uomini e donne, mentre non produce sostanziali differenze in caso di tempo parziale. Il divario maggiore si registra nel settore dei Servizi, e tra coloro che aderiscono ai Ccnl di Confcommercio e Federdistribuzione. Le donne che lavorano, part time, invece guadagnano più dei colleghi uomini. La differenziazione per genere è ancora più evidente tra i quadri. Per le donne la crescita retributiva si arresta, infatti, nell’intervallo tra i 35 e i 44 anni, per gli uomini raggiunge l’apice tra i 45 e i 54 anni.

L’impatto della digitalizzazione sui quadri

Anche le aziende del Terziario hanno accelerato la trasformazione digitale. Per alcune imprese si è trattato di ottimizzare gli sforzi organizzativi, per altre di attrezzarsi in tempi rapidi per restare competitive. I quadri, chiamati a gestire gruppi di lavoro sempre più spesso a distanza, si sono trovati in prima linea nel dover gestire i cambiamenti organizzativi. Le restrizioni patite dai canali di vendita hanno poi accelerato alcune importanti innovazioni e cambiamenti. Le potenzialità della vendita online hanno tracciato un solco profondo: che svolga il suo lavoro come assistente online, o che lo faccia nel punto vendita, il retailer deve conoscere entrambi i sistemi, integrare i processi e utilizzare le tecnologie digitali. In breve è diventato una figura ‘anfibia’, che opera tra il fisico e digitale.

L’importanza di formare i dipendenti

La scelta di formare i dipendenti è stata presa dal 47% delle imprese. I corsi di formazione si sono concentrati soprattutto su marketing (47,5%), customer care (44,7%), strategie di fidelizzazione cliente (36,2%) e social media management (34,8%). Il 68,3% dei quadri ha seguito i corsi di formazione da remoto. Tuttavia, restano ampi aspetti su cui i middle manager del terziario sentono di aver bisogno di maggiore preparazione. Ai primi posti ci sono la capacità di pensiero strategico in un’ottica di miglioramento continuo (36,3%), seguita dalla capacità di ‘fiutare’ il cambiamento, immaginando nuovi scenari e anticipando i bisogni dei clienti (35,3%).

Lavoro: nei primi 6 mesi 2022 aumentano le dimissioni

La conferma arriva dall’indagine InfoJobs Attraction Retention: nel primo semestre 2022 il 60,1% delle aziende italiane riscontra un numero maggiore di dimissioni rispetto al 2021.  A inizio anno, il 41,1% delle aziende indicava come la sfida più importante fosse quella di attrarre e trattenere i talenti, leva chiave per la competitività in un mercato sempre più difficile, con le dimissioni in crescita e difficoltà a trovare personale qualificato.
Per i responsabili HR i motivi dell’aumento delle dimissioni sono riconducibili a diversi fattori: un ritrovato coraggio di cambiare lavoro e una nuova consapevolezza delle priorità da parte dei professionisti (30,3%), e soprattutto da parte dei giovani, la ricerca di nuove opportunità di carriera e un miglior bilanciamento tra vita privata e professionale (29,8%). 

Come rispondono le aziende?

Il 30,4% delle aziende dichiara però di non intraprendere azioni concrete per trattenere i talenti, soprattutto per il fattore economico (17,9%), anche se il 69,6% dichiara di avere programmi ad hoc. Primo tra tutti (45,9%), il pacchetto welfare aziendale (formazione continua, lavoro agile, benefit e percorsi di crescita), seguito dall’impegno per un modello organizzativo più partecipativo (37,6%), percorsi di carriera chiari e concreti (33,8%), percorsi di formazione professionale (33,1%), e attività di team finalizzate alla costruzione di un clima collaborativo e di fiducia (27,1%). Secondo gli HR, per sottrarre o attirare talenti si utilizzano il fattore economico (60,2%), un migliore equilibrio vita privata-lavoro (17,2%), la possibilità di carriera (11,7%) e il caring (10,9%).

Cosa pensano i lavoratori? 

Dall’indagine emerge un generale malcontento: l’80,9% dei dipendenti non consiglierebbe l’azienda per la quale lavora, a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante (52,1%), stipendio e benefit poco soddisfacenti (28,8%). E il 66,7% non si sente valorizzato. Uno scenario alimentato, soprattutto, dalla decisione di assumere risorse esterne all’azienda anziché valorizzare le potenzialità interne (37,6%). Aziende e candidati confermano che la leva economica è essenziale per acquisire talenti o restare. Il 52,7% dei dipendenti afferma infatti che la propria soddisfazione migliorerebbe a fronte di un salario più adeguato e in crescita nel corso degli anni, parallelamente a un percorso di carriera ben sviluppato. Smartworking, orario flessibile, una leadership che supporti e valorizzi le proprie risorse, sono altri fattori fortemente motivanti, sostenuti dal 22,3% degli intervistati.

Prospettive per il futuro 

Le aziende dovranno fare i conti con dimissioni in caso di scarsa motivazione e poca considerazione dei dipendenti (38,3%), riporta Adnkronos. Dovranno quindi modificare l’approccio culturale, ascoltando maggiormente (31,2%) e dialogando con i dipendenti per trovare punti di incontro (25%). L’orizzonte temporale a 5 anni restituisce la fotografia di candidati che si vedono impegnati nella ricerca del nuovo, spinti dalla voglia di crescere e imparare (41,7%), nei panni di imprenditore (37,2%), o in un’azienda più affine alle proprie caratteristiche (13,2%). Solo il 7,9% ‘si vede’ nella stessa azienda, di cui apprezza l’ambiente di lavoro e l’attenzione ai dipendenti, ma in una posizione di maggiore responsabilità.

2021, anno d’oro per la nautica italiana

C’è un settore che ha registrato delle performance eccezionali nel corso del 2021: è quello della nautica. A confermarne il successo è stata la nuova edizione di Nautica in Cifre – Log, l’annuario statistico realizzato dall’Ufficio Studi di Confindustria Nautica in partnership con Fondazione Edison, presentato durante il Salone Nautico di Genova. Entrando nel merito dei risultati, si scopre che l’anno scorso il comparto ha messo a segno il migliore incremento di fatturato di sempre e l’anno nautico concluso ha assicurato solide prospettive anche per il 2022, consolidando una crescita strutturale. 
“Considerando gli scenari economico-politici che stiamo attraversando – con forti criticità sul fronte dell’approvvigionamento delle componenti, imprevedibili fluttuazioni dei prezzi e della disponibilità delle materie prime e una sempre più evidente scarsità di manodopera specializzata” si legge in una nota “si tratta di un risultato eccezionale per le nostre imprese. I numeri sono chiari: il fatturato globale del settore è passato da 4,6 miliardi del 2020 a ben 6,1 miliardi del 2021. L’incremento registrato rispetto all’anno precedente è stato del +31,1%: un dato straordinario che consente non solo di compensare il lieve calo registrato nel 2020, ma di portare il fatturato del settore a livelli pressoché analoghi a quelli del biennio record del 2007-2008”.

Exploit delle esportazioni

Fra i fattori determinanti che hanno alimentato la crescita si deve annoverare l’exploit delle esportazioni della produzione cantieristica nautica, che nell’anno scorrevole terminato a marzo 2022 hanno toccato il massimo storico di 3,37 miliardi di euro, con gli USA primo mercato in assoluto per i nostri cantieri (485 milioni di euro, pari a una quota del 16,4%). Altri fattori determinanti sono i portafogli ordini dei cantieri italiani di yacht e superyacht, che per molti operatori coprono addirittura il prossimo triennio, e l’ottima performance dei comparti dell’accessoristica nautica e dei motori marini.

Aumentano gli addetti

Gli addetti complessivi sono saliti a 26.350 rafforzando ulteriormente il trend occupazionale positivo (+9,7% rispetto al precedente anno) che ha caratterizzato trasversalmente tutti i comparti del settore, con una particolare incidenza nella costruzione di nuove unità (+14,7%) in cui sono impiegati quasi la metà degli addetti complessivi del settore (14.710). Il contributo del settore della nautica al PIL nazionale è stato superiore ai 5,1 miliardi di euro nel 2021, in forte aumento (+31,4%) rispetto al dato 2020. Anche il peso del contributo della nautica al PIL in rapporto al PIL nazionale è cresciuto, passando dal 2,37‰ del 2020 al 2,89‰ nel 2021, a testimonianza della fase espansiva del settore.

Spending review: per gli italiani il cibo non si tocca 

Di fronte a uno scenario non favorevole, la spending review degli italiani per la prima volta da decenni non tocca il cibo. Nonostante l’aumento dei prezzi 24 milioni e mezzo di italiani non sono infatti disposti a scendere a compromessi nelle scelte alimentari: nei prossimi mesi prevedono di diminuire la quantità, ma non la qualità del loro cibo. Inoltre, sebbene oggi il mercato italiano sembri manifestare una dinamica inflattiva dei prodotti alimentari lavorati prossima alla doppia cifra (+10%), è ancora in ritardo rispetto ad altri Paesi europei: +13,7% in Germania o +13,5% in Spagna. È quanto emerge dal Rapporto Coop 2022.

Per ora il mercato italiano mantiene un trend positivo dei volumi

La tempesta perfetta non poteva risparmiare la filiera del cibo, e ha trovato proprio nelle catene di approvvigionamento globali uno dei suoi principali epicentri. Ma nonostante la spinta dei prezzi i volumi di vendita hanno tenuto (+7,8% primo semestre 2022 vs 2019), complice la calda e lunga estate, il ritorno del turismo straniero e la capacità della distribuzione di imporsi sugli altri canali di vendita specializzati. Il mercato italiano è al momento l’unico a mantenere un trend positivo dei volumi (+ 0,5% contro -5,4% Regno Unito, -3,7% Germania, -2,3% Francia e -1,3% Spagna). Questa differenza nel ritardo all’incremento dei prezzi sembra presagire un’inversione di tendenza imminente.

No a un netto downgrading degli acquisti

Per quanto riguarda gli italiani a tavola, ritorna il cooking time sperimentato durante il lockdown: si passa più tempo nella preparazione dei pasti e ci si impegna a sperimentare nuovi piatti. Ma forse la maggiore evidenza del nuovo valore assegnato dagli italiani al cibo è il sorprendente mancato ricorso a un netto downgrading degli acquisti, solo -0,1%. Effetto mix negativo nel primo semestre come prima risposta alle difficoltà nelle precedenti crisi economiche. Probabilmente, con il peggiorare della situazione gli italiani vi faranno nuovamente ricorso, ma attualmente il carrello non è più la miniera da cui attingere per finanziare altri consumi, bensì un fortino da proteggere. Forse è questa una delle principali eredità del post pandemia.

Italianità e sostenibilità restano elementi imprescindibili

Al tempo stesso il cibo a cui non si intende rinunciare pare essere soprattutto quello più sobrio e base. L’italianità e la sostenibilità sono gli elementi imprescindibili. Così compaiono meno sulle tavole i cibi etnici, le varie tipologie di senza (senza glutine, eccetera), i cibi pronti, e anche il bio pare subire una battuta d’arresto. La quota di italiani che autodefiniscono la propria identità alimentare improntata al biologico decresce di 7 punti percentuali, dal 18% del 2021 all’11% attuale. Le stesse marche leader sembrano sacrificabili: rispetto al 2019 hanno registrato una contrazione della quota di mercato, passando dal 14,9% al 13,1% nel 2022 (-1,8%), mentre la MDD continua la sua avanzata, con una quota di mercato che nel 2022 sfiora il 30% (+2,0 rispetto al 2019).

Quanto guadagnano i dipendenti?

Dal XXI Rapporto annuale Inps emerge che la retribuzione media giornaliera per i dipendenti a full time è pari a 98 euro. Vi sono però oscillazioni significative tra un contratto collettivo nazionale di lavoro e l’altro, poiché in sei dei principali ccnl la retribuzione media giornaliera è inferiore a 70 euro, mentre nell’industria chimica è pari a 123 euro. Ma superiori a 100 euro giornalieri risultano anche i valori medi nei gruppi di ccnl con meno dipendenti. Per i dipendenti a part time la retribuzione media giornaliera è invece pari a 45 euro, e risulta inferiore a 40 euro al giorno per i dipendenti di alcuni comparti artigiani, come metalmeccanico, sistema moda, o acconciatura/estetica.

La cessazione del rapporto di lavoro

Per quanto riguarda il Tfs, i termini per l’erogazione ai dipendenti pubblici variano a seconda delle cause di cessazione del rapporto di lavoro. Se la normativa vigente prevede il pagamento entro 105 giorni in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso del lavoratore, nel caso di cessazione per raggiungimento dei limiti di età o servizio, il pagamento va effettuato non prima di 12 mesi dalla data di cessazione dal servizio. In tutti gli altri casi, come ad esempio dimissioni e licenziamento, il pagamento sarà effettuato non prima di 24 mesi. L’erogazione della prestazione può avvenire in un’unica soluzione se l’ammontare complessivo lordo è pari o inferiore a 50.000 euro, in due rate annuali (superiore a 50.000 e inferiore a 100.000), o in tre rate annuali (pari o superiore a 100.000 euro). In caso di pagamento rateale, la seconda e la terza tranche saranno pagate rispettivamente dopo 12 e 24 mesi dalla data di decorrenza del diritto al pagamento della prima.

La pensione

Ai termini di pagamento previsti sulla base della causale di cessazione, la normativa aggiunge 90 giorni per gli adempimenti istruttori duranti i quali non maturano interessi di mora. Operazione che talvolta può determinare un ampliamento dei tempi di lavorazione delle istanze che si presentino incomplete sotto il profilo degli elementi utili al calcolo della prestazione. Inoltre, quando si va in pensione prima di aver raggiunto i requisiti anagrafici o contributivi, ad esempio usufruendo del beneficio Quota 100, i termini per l’erogazione del Tfs decorrono dalla data di raggiungimento del diritto teorico più favorevole, non dalla data di effettivo collocamento a riposo.

La richiesta di anticipazione 

Al momento dell’accesso alla pensione, riporta Adnkronos,  è possibile presentare una richiesta di finanziamento per una somma pari all’importo dell’indennità di fine servizio maturata, entro un massimo di 45.000 euro. L’Inps in tal caso, a fronte della presentazione della domanda online di anticipazione da parte dell’iscritto, ha 90 giorni di tempo per rilasciare la certificazione, e 30 giorni dalla data di notifica del contratto da parte della banca per produrre la presa d’atto, decorsi i quali la richiesta di anticipazione deve essere ripresentata. Il finanziamento dell’anticipazione autorizzata viene garantito dallo Stato tramite un apposito fondo di garanzia gestito dall’Inps.

Imprese femminili accelerano su digitale e green, ma 1 su 2 non investe 

Quanto a voglia di innovazione le imprese femminili hanno una marcia in più: lo dimostra il V Rapporto sull’imprenditoria femminile, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il Centro studi Tagliacarne e Si.Camera. La ripresa post-pandemia ha convinto infatti un 14% di imprese femminili a iniziare a investire nel digitale (contro l’11% delle aziende maschili), e un 12% a investire nel green. A queste si aggiunge un 31% che in questi anni ha aumentato o mantenuto costante gli investimenti in tecnologie digitali, e il 22% che ha fatto altrettanto nella sostenibilità ambientale.
Le donne d’impresa, quindi, si sono lanciate nella duplice transizione che le politiche europee sostengono con forza, ma non senza difficoltà. La metà delle imprese femminili ha interrotto gli investimenti o esclude di volerli avviare nel prossimo futuro. 

A fine giugno un milione e 345mila attività guidate da donne

A fine giugno 2022, l’esercito delle imprese femminili conta un milione e 345mila attività, il 22,2% del totale delle imprese italiane. Questo universo ha caratteristiche proprie rispetto alle imprese gestite da uomini: maggior concentrazione nel settore dei servizi (66,9% vs 55,7%), minori dimensioni (il 96,8% sono micro imprese fino a 9 addetti vs 94,7% delle maschili), forte diffusione nel Mezzogiorno (36,8% vs 33,7%). Le imprese femminili hanno però una minore capacità di sopravvivenza: a tre anni dalla costituzione, restano ancora aperte il 79,3% delle attività, rispetto all’83,9% di quelle a guida maschile, e dopo cinque anni, la quota delle imprese che sopravvivonoè del 68,1%, contro il 74,3% delle altre.

Più imprenditrici giovani e straniere

Nel secondo trimestre 2022, rispetto allo stesso periodo del 2021, il numero delle imprese femminili è rimasto sostanzialmente stabile, crescendo di 1.727 unità (+0,1%). Il confronto con lo scorso anno mostra un incremento delle imprese femminili soprattutto nell’industria (+0,3%) e nei servizi (+0,4%), tra le società di capitali (+2,9%), nel Mezzogiorno (+0,6%), tra le imprese straniere (+2,6%). Le imprese giovanili femminili sono poi il 10,5% del totale delle aziende condotte da donne, mentre l’imprenditoria giovanile pesa il 7,6% sull’insieme di quelle maschili. Inoltre, le imprenditrici di origine straniera tra le imprese femminili sono l’11,8%, a fronte del 10,4% di quelle condotte da uomini.

Un’inclinazione che va sostenuta e aiutata

“Di fronte alle grandi sfide poste dal PNRR al sistema produttivo nazionale, le donne italiane a capo di un’impresa stanno rispondendo positivamente, accelerando sul fronte degli investimenti digitali e in tecnologie più rispettose dell’ambiente – commenta Andrea Prete, presidente Unioncamere -. Ma questa inclinazione va sostenuta e aiutata. Le imprenditrici, infatti, sentono l’esigenza di migliorare la formazione alle nuove tecnologie 4.0 e green sia a livello scolastico sia universitario, avere un accesso più facile alle risorse finanziarie, semplificare le procedure amministrative. E chiedono anche una forte e costante attività di sensibilizzazione su questi temi, per comprenderne meglio la portata e gli effetti”.