Categoria: Mondo Italia

L’importanza della Corporate Social Responsibility per i consumatori 

In Italia il 48% delle persone dichiara di sapere cos’è la Corporate Social Responsibility, ovvero, l’attenzione che le aziende dedicano alla condotta etica e al loro impatto sociale, contro il 40% di chi non ne conosce il significato. Da quanto emerge dalla survey sulla Corporate Social Responsibility di WIN International, di cui fa parte BVA Doxa, i dati italiani sono in linea con il risultato a livello globale, e con la media Europea (48%). A guidare il ranking dei paesi europei c’è la Slovenia, che con il 74% di ‘conoscitori’ è anche al primo posto del ranking globale. Mentre in paesi come Francia (43%), Germania (31%) e Regno Unito (40%) una quota minore di intervistati si dichiara vicino al concetto della CSR.

Le aziende pongono la giusta attenzione alla CRS?

In Italia, il 25% degli intervistati afferma che la maggior parte delle aziende non ponga la giusta attenzione alla CRS, un dato di nuovo in linea con la media mondiale (25%). C’è anche una quota della popolazione che ritiene che le aziende si occupino di CSR solo ‘per apparenza’, ma che in realtà non siano sufficientemente impegnate nel promuoverla. In questo caso, la differenza tra Italia e resto del mondo è più significativa: il 50% degli italiani ne è convinto contro il 39% della media mondiale. Il dato italiano però è ancora una volta in linea con il resto dell’Europa (48%).
Solo il 9% degli italiani ritiene che le aziende stiano efficacemente adottando la CSR, diversamente da quanto pensano i cittadini in APAC, tra i più ottimisti del campione (media della regione 31%).

Conoscere le azioni dei brand a favore della sostenibilità

Il 70% della popolazione mondiale ritiene sia importante essere a conoscenza dei comportamenti socialmente responsabili delle aziende e dei brand di cui si è clienti. In Italia non solo il dato è significativamente più alto (88%), ma il risultato porta l’Italia al terzo posto nel ranking mondiale dei paesi che ritengono sia importante conoscere le azioni che aziende e brand intraprendono a favore della sostenibilità.
Non si tratta però solamente di essere consapevoli del significato e dell’importanza della CSR, ma dalla rilevazione emerge anche come la CSR sia in grado di influenzare le decisioni di acquisto della popolazione mondiale.

La CSR influenza le decisioni di acquisto

Il 62% della popolazione afferma infatti che i comportamenti socialmente responsabili di aziende e brand influenzano le loro decisioni di acquisto, e in Italia sono il 67%. Aumenta quindi l’interesse per i comportamenti etici e la funzione sociale delle aziende. A livello mondiale, se da un lato i risultati mostrano una equa distribuzione tra regioni e gender, una relazione indiretta appare guardando all’età: le persone più anziane tendono a essere meno influenzate dalla CSR e dai comportamenti etici delle aziende nelle decisioni d’acquisto.

Per gli italiani lo stile di vita è più green dall’inizio della pandemia

Da quando è iniziata la pandemia il 66% degli italiani conduce uno stile di vita più sostenibile, e il 36% sarebbe disposto a spendere di più per prodotti green. Lo rivela il sondaggio The Green Response Survey 2021, condotto da Essity, azienda attiva nei settori dell’igiene e della salute, sull’impatto della pandemia sui comportamenti di consumo sostenibile.
E dal sondaggio emerge un discreto aumento della sensibilità da parte dei consumatori italiani su temi relativi alla sostenibilità. La pandemia, infatti, avrebbe indirizzato i consumatori verso scelte più sostenibili, soprattutto sull’uso della plastica, il packaging e il tema della riciclabilità.

Disposti a spendere di più per prodotti o imballaggi riciclabili 

Quando acquista prodotti per l’igiene, un italiano su 5 presta attenzione al loro impatto ambientale, e il 17% cerca prodotti facilmente riciclabili. Per i prodotti green e sostenibili cambia anche la propensione a spendere, il cosiddetto ‘willingness to pay’. Gli italiani, infatti, accetterebbero di pagare un prezzo più alto per prodotti che possono essere riciclati o compostati dopo l’uso (36%), composti da materiali rinnovabili (31%) o da materiale di origine naturale (31%), con imballaggi fatti di materiali riciclati o rinnovabili (29%) o realizzati localmente (27%).

Aumenta l’ottimismo per l’azione individuale dei singoli

Anche il cambiamento climatico rientra tra gli interessi dei consumatori italiani. In particolare, aumenta l’ottimismo per l’azione individuale dei singoli. Secondo il Green Response gli italiani sono tra i più ottimisti al mondo quando si parla del proprio impatto positivo sul cambiamento climatico. Il 70% crede infatti che i comportamenti più rispettosi per l’ambiente possano rallentare il riscaldamento globale. Tuttavia, continua a essere presente una distanza tra intenzioni e comportamenti di acquisto/stili di vita sostenibili.
Per questo Essity approfondirà il tema insieme a Legambiente, che a partire da febbraio 2022 affiancherà l’azienda in un progetto di informazione e sensibilizzazione sugli stili di vita sostenibili per ridurre questo gap, riferisce Adnkronos.

Cresce la sensibilità ai temi ambientali

“Negli ultimi anni, la sensibilità delle persone alle tematiche ambientali è cresciuta a una velocità senza precedenti – afferma Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente -. La pandemia e la crisi climatica sempre più evidente hanno senz’altro accelerato questo processo. La sfida di oggi è quindi trasformare questa crescente attenzione nel protagonismo di un numero sempre maggiore di persone a fare la propria parte. Questo processo ci aiuterà a migliorare la nostra qualità della vita e a tutelare gli equilibri del Pianeta. Una maggiore consapevolezza nelle scelte dei consumatori è un fattore determinante anche per la transizione ecologica delle aziende, spingendo al costante miglioramento ambientale di prodotti e servizi, e di sollecitazione delle Istituzioni nell’adottare sempre più strumenti in grado di accompagnare questo cambiamento necessario”.

Spesa online, come sono cambiate le abitudini degli italiani nel 2021

Come abbiamo fato la spesa noi italiani nel 2021? Dopo i cambiamenti epocali avvenuti nel corso del 202 per la pandemia, anche e soprattutto per quanto riguarda le abitudini di consumo, ci sono state ulteriori evoluzioni? A rispondere ci pensa il terzo Report Annuale di Everli, che innanzitutto ribadisce che i nostri connazionali hanno consolidato l’abitudine di fare la spesa online.

I trend della spesa online
In base al report di Everli relativo al 2021, la classifica delle 10 categorie di prodotto più acquistate dai consumatori del Bel Paese è parecchio cambiata rispetto allo scorso anno, con una crescente tendenza a comprare prodotti salutari. Nello specifico, si conferma capolista di questo speciale ranking la categoria “verdura”, subito seguita da “frutta” (2° posto), spodestando la categoria merendine, che nel 2021 si ritrovano solo al settimo posto. Questa tendenza “healthy” si conferma anche guardando al resto della classifica, che vede quest’anno posizioni più alte occupate da categorie quali pasta di semola corta (3°), insalate pulite e lavate (6°), pane (9°) e agrumi (10°) e registra l’uscita dalla top 10 di categorie particolarmente apprezzate nel 2020, come formaggi e salumi, latte e burro, gelati e scatolame, così come le farine e i preparati per pane e pizza fatti in casa (che nel 2020, complice il lockdown, avevano raggiunto uno stellare +5.046% rispetto al 2019).

Il carrello online nel 2021
Negli scorsi 12 mesi, complici limitazioni meno severe rispetto ai lockdown del 2020, il dato relativo alla spesa totale effettuata online in Italia è fisiologicamente leggermente sceso (-4%), mentre il numero complessivo di ordini è salito (+6%), benché con un valore medio del carrello inferiore (-9,8%): segno che i consumatori dello Stivale nel 2021 hanno integrato la spesa effettuata online nella loro quotidianità, gestendo un numero maggiore di spese, ma un po’ più “piccole”. La zona d’Italia che ha visto maggiormente l’affermarsi della spesa online nelle proprie abitudini è stato il Nord-Est (Friuli-Venezia-Giulia e Veneto): infatti, Venezia (+17,5%), Udine (+17%) e Trieste (+15%) sono le tre città dove si è registrata la crescita maggiore anno su anno.
Per quanto riguarda l’organizzazione della spesa, le abitudini degli italiani sono parzialmente cambiate rispetto all’anno precedente: infatti, se nel 2020 era il lunedì il giorno preferito per ordinare la spesa online, nel 2021 è il venerdì la giornata abitualmente deputata a questa attività. La domenica, invece, anche nel 2021 rimane il giorno in cui si registrano meno ordini sulla piattaforma. Sul fronte orari, il mattino si conferma il momento più gettonato per ordinare la spesa online, soprattutto tra le 10 e le 11. Infine, l’app per la spesa è di gran lunga preferita dagli abitanti del Bel Paese rispetto alla versione web (68% vs 31%), con una crescita di ben 7 punti percentuali rispetto al 2020.

Quattro milioni e mezzo di italiani si informano solo sui social

Se in generale gli italiani per informarsi usano i social insieme ad altre fonti informative, 4 milioni e mezzo di loro si informano solo sui social network. Soprattutto su Facebook, utilizzato da 14 milioni e mezzo di italiani per avere notizie. Tra questi, il 30,1% dei 14-80enni, il 41,2% tra i laureati, il 39,5% di chi ha un’età compresa fra 30 e 44 anni, e il 33% delle donne. Ma non si usa solo Facebook. Da alcuni dati emersi dall’Osservatorio permanente Censis-Ital Communications sulle Agenzie di comunicazione in Italia, risulta che il 12,6% della popolazione, e il 18% tra i giovani, acquisisce informazioni anche su YouTube, e il 3% su Twitter. Di questi, il 5% tra i più giovani.

L’epicentro della disinformazione e delle fake news è sul web

Se il web durante la pandemia ha consentito agli italiani di costruirsi una nuova quotidianità digitale, non mancano gli aspetti contraddittori del suo utilizzo, alcuni dei quali hanno un impatto diretto su informazione e fake news. Il Covid-19 infatti ha evidenziato i rischi di una comunicazione senza filtri, proliferante, disordinata, che nel web ha l’epicentro della disinformazione e delle fake news.
Il 55,1% degli italiani poi è convinto che il digitale fomenti odio, rancore e conflittualità, con quote che arrivano al 58,9% tra le donne e al 58,4% tra i giovani under 34. E il 22,6% ha paura di cadere vittima degli haters.

L’affidabilità di quotidiani, tv e radio

L’86,4% degli italiani però sa che per ottenere un’informazione di qualità è meglio affidarsi ai quotidiani cartacei o online, a radio e televisione piuttosto che ai social network, dove chiunque è libero di produrre e diffondere notizie. Non è un caso che il 74,5% pensa che la televisione sia molto o abbastanza affidabile, mentre solo il 34,3% giudica affidabili i social network. Un evento inaspettato come l’epidemia da Covid-19 ha scatenato la domanda di informazione a livello globale, e a tal proposito un’indagine di Eurobarometro rileva come il 61% dei cittadini europei ritenga virologi, medici e personale sanitario le più attendibili fonti di informazione sui vaccini, ma tra i no vax la quota scende al 32%. E il 10% di chi non è vaccinato per informarsi sui vaccini ripone fiducia sui siti web, e l’8% sui social, contro il 5% della popolazione.

Covid, media e fake news: regole più severe contro le notizie false

Il 41% di chi ha deciso di non vaccinarsi non giudica affidabile nessuna fonte informativa, mentre il 54,2% degli italiani ritiene positiva la presenza mediatica degli esperti nei vari campi della medicina.
Il 45,8%, però, esprime giudizi negativi, in quanto virologi ed epidemiologi hanno creato confusione e disorientamento (34,4%) o sono stati dannosi perché hanno provocato allarme (11,4%).
In ogni caso, l’86,8% degli italiani vorrebbe regole e controlli più stringenti per le notizie sul web. E per il 56,2% sarebbero necessarie pene più severe per chi diffonde false notizie deliberatamente.

Lavoro: la situazione sociale in Italia nel 2021

L’emergenza sanitaria ha avviato un nuovo ciclo dell’occupazione. Il 36,4% degli italiani ritiene che la crisi da Covid-19 si sia tradotta in una maggiore precarietà, mentre per il 30,2% degli italiani l’esperienza del lavoro da casa ha dato la possibilità di conciliare le esigenze personali con quelle professionali. Cresce però l’aspettativa nel futuro, soprattutto per il 27,8% della popolazione, che considera le risorse europee e il Pnrr elementi in grado di garantire occupazione e sicurezza economica per lavoratori e famiglie. Ma alti tassi di disoccupazione, soprattutto dei giovani, e ampie sacche di inattività, soprattutto femminile, sono le caratteristiche di un mercato del lavoro sempre più sclerotizzato. Si tratta di alcune evidenze del capitolo ‘Lavoro, professionalità, rappresentanze’ del 55° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese nel 2021.

I fattori che frenano l’inserimento professionale

Per il 30,2% degli italiani al primo posto tra i fattori che frenano l’inserimento professionale ci sono le retribuzioni disincentivanti offerte in cambio della prestazione lavorativa. Anche nei confronti di chi dispone di competenze e capacità adeguate. Al secondo posto (29,9%), la persistenza di condizioni inadeguate per avviare un’attività in proprio, dal peso degli adempimenti burocratici al carico fiscale che grava sull’attività d’impresa.

I divari retributivi nel lavoro dipendente e l’appeal delle libere professioni

Quanto alle retribuzioni degli oltre 15 milioni di lavoratori pubblici presenti negli archivi Inps, il dato medio complessivo riferito alla giornata retribuita si attesta a 93 euro. Una donna percepisce una retribuzione inferiore di 28 euro rispetto a un uomo, e la sua retribuzione è inferiore del 18% rispetto alla media. In base all’età emerge invece una differenza di 45 euro tra un under 30 e un over 54, ed è ampia anche la distanza tra la paga giornaliera di chi ha un contratto a tempo indeterminato (97 euro) rispetto al tempo determinato (65 euro), e fra full time e part time: la prima vale più di due volte la seconda. Resta invece intatto l’appeal delle libere professioni, definite dal 40,0% degli italiani attività prestigiose, che fanno valere le competenze acquisite e l’impegno dedicato allo studio. Per il 34,1% poi si tratta di un lavoro utile, importante per la collettività.

Tempi della ripresa e tempi della formazione

Il basso impegno nella formazione continua e il ritardo nell’adozione di efficaci politiche attive del lavoro rischiano di rappresentare una strozzatura per il perseguimento degli obiettivi di crescita previsti dal Pnrr. Le imprese italiane di minore dimensione accedono poco ai fondi per la formazione finanziata (6,2%), contro il 64,1% delle aziende che contano più di 1.000 dipendenti. Per realizzare gli obiettivi del Pnrr è necessario disporre di un sistema coerente di politiche attive del lavoro, in grado di gestire il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Oggi però i centri pubblici per l’impiego riescono a entrare in contatto soltanto con il 18,7% delle persone in cerca di occupazione, mentre a livello europeo la percentuale sale al 42,5%.

Spesa, i driver diventano salute sostenibilità

Più che il prezzo, sono gli aspetti legati alla salute e alla sostenibilità a guidare le scelte dei consumatori quando fanno la spesa. A tracciare ila nuova fisionomia delle abitudini di acquisto dopo il Covid è il nuovo report di Deloitte The Conscious Consumer, analisi che raccoglie il parere di oltre 17.000 consumatori in 15 Paesi europei: Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera e UK.

Un trend che si è rafforzato nell’ultimo anno

In sintesi, il rapporto evidenzia che i driver nelle scelte di acquisto sono mutati con l’emergenza sanitaria. Salute (86%) e sostenibilità (70%) costituiscono criteri di scelta sempre più strategici nell’alimentazione dei consumatori europei e italiani, un trend che si è rafforzato nel corso degli ultimi 12 mesi. I consumatori italiani si dicono più interessati all’influenza che l’alimentazione può avere sulla propria salute (69%) e hanno cambiato i propri comportamenti d’acquisto alla luce delle nuove priorità: più verdura (64%) e meno carne (51%), prediligendo prodotti locali (64%). A ciò si aggiunge anche l’aumento della preparazione dei pasti a casa (54%) e il risparmio di packaging, impiegato ad esempio nel delivery (47%).

Il prezzo resta però un fattore chiave 

Nonostante i cambiamenti in atto, che privilegiano la salute e la sostenibilità quando si fa la spesa, non si può negare che il prezzo resta sempre un fattore chiave alle scelte di acquisto dei prodotti (70%). Sebbene il peso di ciascun fattore che veicola le decisioni in fatto di spesa sia importante, la salute rappresenta il principale driver quando i consumatori si trovano a dover scegliere tra i tre. Infatti, l’80% dei consumatori italiani la predilige al prezzo e il 91% alla sostenibilità. Anche se il 61% dei consumatori dichiari che il prezzo li influenzi di più della sostenibilità, il 78% degli intervistati italiani afferma di essere disposto a pagare almeno il 5% in più per alimenti sostenibili, ma anche per generi alimentari locali (79%), biologici e fair trade (entrambi 76%). La scelta dei prodotti che meglio rispecchiano i bisogni dei consumatori passa anche dall’informazione sui temi di salute e benessere in ambito alimentare. Nell’informarsi, i consumatori italiani si affidano soprattutto agli esperti di settore e al web, seguiti dalle strutture e dal personale sanitario.“Nel giro di un anno, i consumatori italiani si sono maggiormente interessati sull’influenza che l’alimentazione può avere sulla salute. La spesa è sempre più guidata dai valori dei consumatori: ne sono la prova l’orientamento verso alimenti che siano salutari, provenienti dal territorio e preparati in casa, nel il tentativo di ridurre gli sprechi”, commenta Eugenio Puddu, Consumer Products Sector Leader di Deloitte Italia.

Isee 2022: cosa cambia?

A causa del Covid crisi la economica e il mercato del lavoro hanno ‘castigato’ le famiglie abbassando il loro reddito. Ne consegue un sensibile ridimensionamento anche del loro Isee, l’Indicatore della situazione economica equivalente. Nel 2022 si stima quindi un boom di richieste sia perché ci saranno alcune agevolazioni per le quali l’Isee non era previsto sia perché la platea degli aventi diritto a vecchi e nuovi bonus dovrebbe allargarsi. Come ricorda laleggepertutti.it, ci sarà poi un altro modo di calcolare la dichiarazione sostitutiva unica che porta alla definizione dell’Indicatore. 

Come ottenerlo?

L’Isee stabilisce la ricchezza di un nucleo familiare attraverso i dati relativi al reddito e al patrimonio dei componenti del nucleo e tiene conto di altri fattori, come la presenza di eventuali portatori di handicap. Questo indicatore viene richiesto per numerose prestazioni socio-assistenziali, cioè per avere diritto a bonus e detrazioni. Per ottenere l’Isee è possibile rivolgersi a un centro di assistenza fiscale (un Caf), o accedere con il proprio Spid al sito dell’Inps e compilare la dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) per la richiesta dell’Isee.

Si allarga il numero delle prestazioni

Dal 2022 viene allargato il numero delle prestazioni per le quali l’Isee sarà richiesto come requisito indispensabile per poterne beneficiare. Tre le prestazioni per le quali, finora, veniva richiesto l’Isee a una determinata soglia a seconda del bonus o della detrazione in oggetto, rientravano il reddito di inclusione (Rei), il reddito di cittadinanza, la pensione di cittadinanza, le prestazioni socio-sanitarie, la riduzione della tariffa per mensa scolastica e asilo nido, il bonus per i libri scolastici, la riduzione per tasse universitarie e borse di studio, il bonus per luce, gas e acqua, la riduzione per la tassa rifiuti, il bonus bebè. A queste prestazioni dal 2022 si aggiungono l’assegno unico dei figli, il superbonus 110% per le villette (limite a 25mila euro), e il bonus sull’acquisto della prima casa per gli under 36 (limite a 40mila euro).

Arriva l’assegno unico sui figli 

Per ottenere l’Isee dal 2022, alcuni passaggi resteranno identici a quelli previsti in passato, mentre altri vengono modificati. Si parte sempre dall’individuazione del numero dei componenti del nucleo familiare su cui calcolare l’indicatore. Il riferimento è quello della famiglia anagrafica al momento della presentazione della Dsu, e i figli vengono calcolati nell’Isee del genitore con cui convivono, anche se risultano fiscalmente a carico dell’altro genitore. Ma l’arrivo dell’assegno unico sui figli porterà in alcuni casi delle novità sul concetto di nucleo familiare, e quindi, sul calcolo dell’Isee. Finora, l’assegno familiare (Anf) aveva come riferimento il reddito e non l’Isee del richiedente, che poteva essere un solo genitore. Con il nuovo assegno unico il discorso cambia. Essendo necessario l’Isee, infatti, andranno sommati i redditi e i patrimoni mobiliari e immobiliari di entrambi i genitori.

Cambio di scenario, nei supermercati più prodotti vegetariani e veg

Da anni ragioni etiche e ambientaliste determinano l’aumento di chi si orienta verso regimi alimentari vegetariani e vegani, oppure, a un regime flessibile in cui lo spazio per i prodotti di origine animale è molto ridotto rispetto a prima. Un’ottica interessante per leggere il nuovo fenomeno è l’analisi dei volantini e dei cataloghi digitali dei supermercati. E osservando l’aumentato spazio dedicato al settore vegan in questi ambiti la ricerca di Tiendeo.it, società che opera nei servizi drive-to-store per il settore retail, ha preso in esame i dati degli ultimi tre anni relativi alle ricerche di carne e di frutta e verdura, oltre a quelle specifiche di prodotti vegani. I risultati della ricerca sono quindi uno specchio della tendenza globale a promuovere un consumo responsabile, recuperando abitudini alimentari che includano alternative vegetariane e al tempo stesso nutritive.

Crescono le ricerche di frutta e verdura

Secondo i dati della FAO, nella seconda metà del XX secolo il consumo di carne si è moltiplicato per cinque a livello mondiale (1950: 45 milioni di t/anno, 2000: 233 milioni di t/anno), ma ora si assiste a un’inversione di tendenza. I consumatori ricercano infatti in modo crescente frutta e verdura. Dall’analisi di Tiendeo.it nel 2021 si registra infatti un aumento del 59% rispetto al 2019. Per quanto riguarda la carne, nel 2020 si registra invece una diminuzione del -7% nelle ricerche dei consumatori, mentre nel 2021 il salto è stato decisamente importante, con un crollo del 38% rispetto ai dati del 2019.

Moltiplicano le offerte di prodotti vegetariani e vegani 

Sono molti i consumatori che introducono alimenti vegetariani e vegani all’interno della propria alimentazione, e i retailer lo sanno. Non a caso nell’intervallo tra settembre 2020 e settembre 2021 la crescita di promo di prodotti vegetariani e vegani all’interno dei volantini dei retailer è del 182%. Sono dati che fanno riflettere, e che stanno portando a uno spostamento degli interessi dei consumatori, dettati soprattutto da scelte responsabili in fatto di consumi e alimentazione. A generare preoccupazioni nei consumatori è soprattutto l’impronta idrica della produzione di prodotti animali, ovvero il volume totale di acqua dolce impiegata per produrre un prodotto, riporta Ansa.

Preoccupa l’impronta idrica della produzione di prodotti animali

Di fatto, l’impronta idrica della carne di manzo è di 15.400 litri per kg, mentre quella del pomodoro è di 200 litri per kg. Secondo l’UNESCO-IHE Institute for Water Education, per produrre un grammo di proteine da carne bovina occorre una quantità di acqua 6 volte superiore a quella necessaria per produrre un grammo di proteine da legumi. Ma non è tutto, perché tutto ciò ha ripercussioni anche sulla deforestazione, la degradazione del suolo e sulle di emissioni di CO2. Per avere un’idea dell’impatto delle nostre abitudini alimentari sulla produzione di gas serra, basti pensare che le principali 20 aziende zootecniche del mondo emettono in totale 932 milioni di tonnellate di CO2, ovvero più di quanto emesso da stati come Regno Unito, Germania o Francia.

I media post-pandemia: cresce la tv, boom di Internet, smartphone e social

Nel 2021 crescono l’uso tradizionale della televisione e quello innovativo, e se la radio continua a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media, è boom di Internet, smartphone e social network. La pandemia ha prodotto un’accelerazione del paradigma biomediatico, e  nel 2021 la fruizione della televisione ha conosciuto un incremento rilevante, sia per effetto dell’aumento dei telespettatori della tv tradizionale e della tv satellitare, sia della tv via Internet e della mobile tv.  Il digitale terrestre segna infatti un +0,5% rispetto al 2019, web tv e smart tv salgono al 41,9% di utenza, e la mobile tv passa dall’1,0% di spettatori nel 2007 a un terzo degli italiani nel 2021 (33,4%).

Più utenti per tutti i media tranne la radio tradizionale

Secondo i dati del 17° Rapporto sulla comunicazione del Censis, dal titolo I media dopo la pandemia, complessivamente, nel 2021 i radioascoltatori italiani sono il 79,6%, ma se la radio tradizionale perde il -2,1% di utenza e l’autoradio il 3,6%, aumenta l’ascolto delle trasmissioni radiofoniche via internet con il pc (20,2%, +2,9%) e attraverso lo smartphone (23,8%, +2,5%). Quanto a internet, si registra ancora un aumento: l’utenza ha raggiunto quota 83,5% (+4,2% rispetto al 2019). L’utilizzo degli smartphone sale invece all’83,3% (+7,6% sul 2019), e lievitano al 76,6% gli utenti dei social network (+6,7%).

Il lockdown, i libri e le piattaforme online

Se si considera che chi ha letto più di 3 libri all’anno costituisce il 25,2% della popolazione, pare che il lockdown abbia prodotto un riavvicinamento alla lettura. Nel 2021 i lettori di libri sono infatti il 43,6% (+1,7% rispetto al 2019), e quelli di e-book l’11,1% (+2,6%), mentre si accentua la crisi ormai storica dei media a stampa. Quanto alle piattaforme online, tra i giovani (14-29 anni) c’è stato un ulteriore passo in avanti nel loro impiego: il 92,3% utilizza WhatsApp, l’82,7% YouTube, il 76,5% Instagram, il 65,7% Facebook, il 53,5% Amazon, il 41,8% le piattaforme per le videoconferenze, il 36,8% Spotify, il 34,5% TikTok, il 32,9% Telegram, il 24,2% Twitter. Anche tra chi ha 65 anni e oltre l’impiego di internet sale dal 42,0% al 51,4% del 2021 e gli utenti dei social media aumentano dal 36,5% al 47,7%.

Spesa per i consumi mediatici, più telefoni e pc, meno servizi di telefonia 

L’andamento della spesa delle famiglie per i consumi mediatici tra il 2007 e il 2020 evidenzia un’asimmetria. Se il valore dei consumi complessivi ha subito una drastica flessione, senza mai tornare ai livelli precedenti la crisi del 2008, la spesa per l’acquisto di telefoni ed equipaggiamento telefonico, ad esempio, segna un incremento del +450,7%, per un ammontare di 7,2 miliardi di euro solo nell’ultimo anno. La spesa dedicata all’acquisto di computer, audiovisivi e accessori cresce invece del +89,7%, i servizi di telefonia si assestano al -21,1%, (14,6 miliardi nel 2021), e la spesa per libri e giornali crolla al -45,9%.

Per 7 italiani su 10 il caffè è un piacere della vita

Il caffè è un rito irrinunciabile per gli italiani: la conferma arriva dalla seconda edizione dell’indagine Gli italiani e il caffè, condotta da AstraRicerche per conto del Consorzio Promozione Caffè. Il 97% degli intervistati afferma di bere caffè o bevande a base di caffè, e per oltre la metà (54%) il consumo è di tre o più tazzine al giorno, con un aumento significativo nella fascia 18-35 anni. Per il 72,5% degli intervistati il caffè è uno dei piaceri della vita, mentre per oltre il 75% è un punto di forza del Made in Italy. Pur continuando a essere un momento di relax (75%), il caffè è sempre più apprezzato per le sue qualità “energizzanti”. Oltre ad aiutare la concentrazione e il risveglio (73,3%), la tazzina rappresenta per molti il vero inizio della giornata (40,8%), e il modo ideale per ritrovare la carica e la voglia di fare (39%).

I luoghi di consumo: la casa e il bar

La casa si conferma il luogo più amato per bere il caffè: su 100 caffè, 57 sono consumati tra le mura domestiche. Ma è tornata più forte di prima anche la voglia di bere un caffè al bar, luogo di chiacchierare (26,1%), rito mattutino (31,5%), e un modo per sostenere l’economia e i piccoli esercenti (41%). E se gli italiani stanno tornando con fiducia al bar, il 29,8% dichiara di aver bevuto più caffè al bar nei mesi di giugno e luglio, e il 21,3% afferma di esserci andato più spesso rispetto al periodo pre-Covid.

Capsule, cialde ed e-commerce

Se un terzo degli italiani sceglie la moka per preparare il caffè (31,5%, -5,7% rispetto al 2020), capsule e cialde sono preferite dal 43% (+3,6% rispetto al 2020). I motivi di tanto successo? Sono comode da preparare (77%), hanno un ottimo gusto (62%), e per un italiano su due hanno un giusto rapporto qualità prezzo. A sceglierle sono soprattutto gli intervistati tra i 45 e i 55 anni, mentre la moka continua a esercitare un grande fascino tra le donne e gli over 55. Gli italiani hanno poi iniziato a sperimentare l’e-commerce anche per il caffè. Più di due consumatori su tre (69,6%) hanno fatto acquisti sia sui grandi marketplace sia sugli e-store specializzati, o attraverso il servizio della ‘spesa a casa’. 

Caffè e benessere secondo la scienza

“Una vasta letteratura evidenzia i numerosi benefici associati a un moderato consumo di caffè su importanti aspetti della fisiologia umana – dichiara il professor Luca Piretta, Nutrizionista e Gastroenterologo dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – dalla memoria alla concentrazione, dalla performance fisica al rallentamento del fisiologico declino cognitivo legato all’età, dalla riduzione del rischio di malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer e la malattia di Parkinson, a una forte azione preventiva e protettiva nei confronti del diabete di tipo 2 e di alcune malattie del fegato”.