I consigli del vivere sano non hanno base scientifica

Molti dei tanti e storici consigli sulla salute sono solo luoghi comuni, che vanno demistificati se non confutati. Un esempio? La prima colazione non è il pasto più importante della giornata, dipende dall’orario in cui la si fa, da cosa e quanto si mangia.
‘Dovresti fare 10.000 passi al giorno’: in questo caso, si scopre che quando è apparso per la prima volta negli anni ’60 il numero “non era basato su alcun aspetto scientifico”, scrive il Guardian, ma potrebbe valere solo come buon consiglio. “I rendimenti decrescenti entrano in gioco intorno ai 10.000, ma fin lì, fai di più se puoi, un po’ più velocemente se possibile”.

Dormire almeno 8 ore e consumare 5 porzioni di frutta e verdura al giorno?

Il sonno è individuale, il tempo dipende dalle esigenze personali di ciascuno, dalle abitudini, e dalla routine. La raccomandazione di ‘dormire almeno 8 ore’ è un buon consiglio, ma anche in qualche modo arbitraria. Molti studi hanno poi scoperto che se consumare 5 porzioni di frutta e verdura al giorno è associato a un miglioramento della salute, ci sono anche prove che possano essere utili fino a 10 porzioni giornaliere. In linea generale, coloro che consumano più frutta e verdura hanno minori rischi di declino cognitivo, demenza e diabete, meno stress, e maggiore è la varietà, meglio è. Verdure a foglia verde scuro e crucifere (broccoli, cavoletti di Bruxelles e cavoli) sono alcune delle verdure più dense dal punto di vista nutrizionale.

Bere due litri di acqua al giorno?

Rimanere idratati è importante, ma la raccomandazione di bere due litri di acqua al giorno, sebbene ragionevole, non si basa su dati scientifici. Una quantità adeguata d’acqua per gli adulti è di 2,5 litri, ma la maggior parte di questa quantità si trova nei cibi che vengono preparati. La vecchia raccomandazione di bere un bicchiere di vino ogni sera si basa invece sull’evidenza che le persone classificate come ‘bevitori moderati’ (circa 1-2 bicchieri al giorno) sembrano mostrare un rischio inferiore per alcune malattie. Tuttavia, uno studio su 36.000 adulti ha rilevato che anche uno o due drink al giorno potrebbero ridurre le possibilità di un invecchiamento sano e ridurre le dimensioni del cervello. 

La carne rossa fa male?

La carne rossa viene spesso sconsigliata perché contiene molti grassi saturi, e diversi studi hanno mostrato un’associazione tra la maggiore assunzione di carne rossa e l’aumentato rischio di cancro alla prostata e malattie cardiache. Ora è opinione diffusa che le associazioni tra carne rossa e rischio di malattia possano essere confuse, perché molti studi non distinguono tra l’assunzione di carni rosse lavorate (bacon, salsicce, hamburger e salumi) e non trasformate. Diversi recenti studi, riporta AGI,  hanno invece stabilito che mangiare carne rossa non trasformata potrebbe non aumentare questi rischi, specie cardiaci. E le principali organizzazioni sanitarie raccomandano di continuare a mangiare carne rossa non trasformata.

Sicurezza: organizzazioni finanziarie più esposte ai rischi per poca formazione 

Le società finanziarie sono considerate un bersaglio redditizio da parte dei cybercriminali. Questo, sia per i forti flussi di denaro registrati, e le enormi quantità di dati sensibili dei clienti, sia per il grado di digitalizzazione del settore, che dall’inizio della pandemia ha dovuto gestire l’accesso da remoto dei dipendenti. Il comportamento e le competenze dei dipendenti in materia di rischi informatici sono infatti un fattore da non sottovalutare nel settore finanziario italiano, perché molti dipendenti non ricevono una formazione IT adeguata. Secondo la ricerca condotta da Kaspersky, Sicurezza IT: focus sul settore finanziario in Italia, durante la pandemia un quarto delle aziende italiane del settore bancario e finanziario ha subito una violazione causata volontariamente, o involontariamente, dai dipendenti. 

Smart-working: una potenziale vulnerabilità

Il 13% degli intervistati considera i dipendenti che non conoscono policy e pratiche aziendali relative alla sicurezza la principale minaccia. Percentuale che cresce al 22% tra le aziende di piccole e medie dimensioni, e che si riduce all’8% nelle grandi aziende. Il 7% indica smart-working e lavoratori da remoto come potenziale rischio e vulnerabilità. Tra gli intervistati è diffusa anche la consapevolezza che un minimo errore involontario possa mettere in pericolo interi segmenti dei sistemi aziendali.
I dipendenti che ignorano o non conoscono le policy aziendali sono considerati pericolosi quanto la mancanza di personale dedicato alla sicurezza IT (13%).

Una via d’accesso alla rete aziendale

Solo l’8% degli intervistati invece afferma che sono stati utilizzati programmi non aggiornati come gateway per accedere alla rete aziendale. Il 10% riferisce di aver subito attacchi tramite un service provider esterno o tramite un’azienda partner.
Che si tratti di aprire un allegato, cliccare un link infetto o effettuare il download di un software non autorizzato, i criminali informatici spesso prendono di mira i dipendenti per trovare una via d’accesso alla rete aziendale.
D’altronde, nonostante le società finanziarie garantiscano una formazione sulla sicurezza informatica al personale IT maggiore rispetto a quella offerta a qualsiasi altro ruolo professionale, c’è sicuramente ampio margine di miglioramento: le sessioni regolari di formazione dei dipendenti non sono ancora abbastanza diffuse.

Le aziende più grandi sono più “sicure”

Nelle società con oltre 1.000 dipendenti le aree con il maggior numero di personale regolarmente formato su cyber minacce e comportamenti di sicurezza informatica appartengono al reparto IT, seguiti da dirigenti e analisti. Solo un terzo dei responsabili IT (33%) dichiara che il 100% del reparto IT effettua training regolari, mentre stimano che in media due terzi del totale siano regolarmente formati (67%). Una percentuale riflessa anche tra dirigenti (64%) e altri reparti come assistenti esecutivi (61%), marketing (56%), analisti e trader (62%) e contabilità (59%).
In generale, quindi, solo poco più della metà dei dipendenti (54%-67%) ha seguito sessioni di formazione dedicate alla sicurezza informatica.

Crescita professionale: perchè è un fattore essenziale per la sopravvivenza delle imprese? 

Alcuni lavoratori mirano a un aumento di stipendio per far fronte al carovita. E sono in molti a rivalutare le proprie priorità, cercando, ad esempio, maggiore flessibilità e altre opportunità di crescita, aspetti che hanno causato il fenomeno della Great Resignation. Dal punto di vista delle aziende, nei periodi di incertezza economica spesso vengono sacrificati i progetti di Learning & Development, considerati non essenziali, mentre invece è proprio in queste fasi che la fidelizzazione dei dipendenti diventa cruciale. Con l’inflazione in aumento e la prospettiva di una flessione macroeconomica molte aziende sono costrette a entrare in ‘modalità sopravvivenza’, tagliando i budget e la pianificazione a lungo termine per affrontare le priorità e gli aspetti critici di breve termine.

Formare il personale è più conveniente e strategico che assumere nuove risorse

Quando i dipendenti non si sentono valorizzati, decidono di abbandonare l’attuale posto di lavoro alla ricerca di chi è maggiormente disposto a investire su di loro. In questa situazione, in cui si registra una crescente carenza di talenti in molti settori, “trattenere il personale e ridurre quindi il tasso di abbandono dei dipendenti è la via principale per gestire gli scenari di crisi da parte delle aziende – commenta Claudio Tadoldi, Regional Sales Director di Docebo -.
Formare l’attuale personale risulta per le aziende decisamente più conveniente e strategico che ricercare e assumere nuove risorse, come riportato, ad esempio, dal recente report della Financial Services Skills Commission (FSSC), che per il settore dei servizi finanziari stima un risparmio medio di quasi 50.000 euro per dipendente.

Promuovere opportunità di carriera ha un effetto positivo sulla cultura aziendale

Inoltre, investire nell’aggiornamento professionale garantisce che il personale si senta valorizzato e possa contare su ottime competenze per lavorare in modo produttivo, contribuendo alla crescita dell’organizzazione.  Questo, a sua volta, rende i lavoratori in grado di individuare nuovi trend e opportunità, e di adattarsi alle nuove pressioni sul posto di lavoro. Un aspetto decisamente importante nel caso i team siano alla ricerca di metodologie per essere più efficienti, e ottenere maggiori risultati con meno risorse.
L’implementazione di programmi efficaci di upskilling e reskilling può favorire la mobilità interna, promuovendo opportunità di carriera laterali e in ascesa, con un effetto positivo sulla cultura aziendale e un miglioramento nella fidelizzazione del personale.

L’upskilling non deve riguardare solo le competenze tecniche

I migliori programmi di upskilling non riguardano solo le competenze tecniche, ma considerano il contributo dei dipendenti in una prospettiva olistica-multidisciplinare. Le aziende di successo riconoscono il valore di una forza lavoro con un’ampia gamma di competenze, comprese quelle interpersonali. Resilienza, curiosità, empatia, capacità gestionali e comunicative giocano in tandem con le competenze tecniche per creare una cultura aziendale in cui la dinamica di gruppo sia positiva, i problemi complessi risolvibili, e la produttività sia elevata, ma senza sovraccarichi. I team di grandi dimensioni vengono gestiti in modo strategico, e il personale ha maggiori probabilità di essere tutelato, in quanto si sente responsabilizzato e coinvolto.

Come fare personal branding su LinkedIn

Essere presenti su LinkedIn in modo corretto può fare la differenza in ambito professionale? Decisamente sì, a condizione di utilizzare il social per fare personal branding. Non è infatti un caso se oltre un milione di manager è presente su LinkedIn e di questi 1 su 7 cerca apertamente una nuova occupazione. A dirlo è Wyser, brand globale di Gi Group Holding che si occupa di ricerca e selezione di profili di middle e senior management, con una community LinkedIn di quasi 240.000 professionisti in Italia, che sottolinea l’importanza di differenziarsi e rendere il proprio profilo LinkedIn più attrattivo agli occhi di recruiter e aziende.

Come viene usato LinkedIn?

Recruiter e head hunter lo utilizzano in maniera professionale per cercare candidati o approfondire la conoscenza di profili già noti. Secondo una survey Wyser, oltre l’80% dei recruiter effettua una ricerca online del candidato dopo aver ricevuto il suo curriculum e il 42,9% utilizza i social in generale e LinkedIn in particolare per cercare una conferma delle qualifiche per il lavoro del/della candidato/a, mentre il 45,2% lo usa per farsi un’idea sulle caratteristiche della personalità, come apertura mentale, propensione a collaborare e senso etico, ritenute sempre più fondamentali soprattutto per profili manageriali e di responsabilità. Ecco perchè “prendersi cura” del proprio profilo e della propria presenza su LinkedIn può essere rilevante nelle fasi di crescita della propria carriera. 

I consigli degli esperti

Per aiutare i professionisti a proseguire nelle loro carriere, Wyser indica alcune dritte per aggiornare il profilo personale. Quasi il 50% di chi si occupa di ricerca e selezione dà valore alla coerenza delle informazioni del profilo con quelle contenute nel curriculum. Oltre al confronto con la sezione ‘Esperienze’, però, le varie sezioni del profilo personale – foto di copertina, headline, sezione ‘Informazioni’ e molte altre – offrono la possibilità di inserire dettagli che per ragioni di sintesi vengono esclusi dal curriculum, ma che sono utili a sottolineare capacità e competenze acquisite o il grado di responsabilità che si gestisce o ancora a far intuire aspetti della personalità o soft skill.

Selezionare i contatti 

Per un profilo efficace, è importante curare la community. Gli esperti consigliano di richiedere e accettare richieste di collegamento da contatti di lavoro (colleghi, collaboratori, responsabili) o di business (fornitori, clienti attuali o potenziali). E’ opportuno seguire invece quelle persone o aziende affini ai propri interessi e che parlano di temi rilevanti per la propria occupazione. Attraverso le interazioni con i post, che siano like o condivisioni, si possono rinsaldare relazioni con i contatti; commentando dei post o rispondendo a commenti altrui si può iniziare o proseguire conversazioni e stringere nuove relazioni.

Posizionarsi su temi rilevanti per il proprio business 

LinkedIn svolge sempre di più un ruolo di media per l’informazione relativa al mondo del lavoro e dell’impresa. Oltre a pagine ufficiali come LinkedIn Notizie e Obiettivo Lavoro, a produrre i contenuti sono proprio i suoi utenti, aziende e persone, ciascuno esperto nel proprio ambito. Condividere una notizia di settore accompagnata da un proprio commento oppure un post in cui si racconta un progetto ti posiziona come persona esperta in un campo specifico.

Logistica: nel 2022 il mercato cresce del +2,8%

Nel 2020, l’ultimo anno con dati disponibili a consuntivo, il valore del fatturato del mercato della logistica conto terzi, ovvero diretto ai soli clienti, era pari a 50,7 miliardi di euro, il 43,6% del valore totale della logistica in Italia (116,4 miliardi).  A fine 2022 il mercato della logistica conto terzi in Italia raggiungerà 91,8 miliardi di euro, +2,8% sul 2021. Il settore però deve affrontare forti aumenti dei costi operativi, scarsità di capacità operativa nel trasporto e nei magazzini, rallentamenti nelle supply chain internazionali e criticità a reperire energia e combustibili. L’inflazione inoltre porta una variazione negativa del fatturato in termini reali del -5,2%. Sono alcuni dati emersi dalla ricerca dell’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano.

Aumentano i costi di energia e carburanti

Nel 2021 la logistica ha assistito al forte aumento dei costi dei fattori produttivi, in particolare per energia e carburanti, ma la vera ‘emergenza’ è arrivata nel 2022, con i costi per l’energia elettrica più che raddoppiati (+117%), mettendo in difficoltà le Supply Chain più energivore. Il Transport Index elaborato dall’Osservatorio per monitorare l’andamento mensile del mercato, e differenziato per modalità di acquisto Contract o Spot, evidenzia per l’ambito Contract un grande aumento dei costi di trasporto, con due impennate a marzo 2022 (+5,1% rispetto a gennaio) e giugno (+8,7%), e il picco a luglio (+9,2%). Aumenti dovuti soprattutto alla componente Fuel, ma anche alle condizioni di mercato e alla mancanza di equilibrio tra domanda-offerta. L’andamento della curva di acquisto Spot ha valori ancora più elevati. 

Le aziende modificano l’impostazione dei trasporti

Il trasporto è l’area in cui la mancanza di capacità è avvertita in modo più significativo. Nel corso del 2022 il 96% delle aziende ne ha modificato l’impostazione, lavorando sulla relazione mittente-destinatario-fornitore di servizi logistici in quattro direzioni (contratti, pianificazione, visibilità, processi) declinate in modo diverso a seconda della modalità e della tipologia di servizio di trasporto. Ad esempio, nella pianificazione dei flussi, per il 59% delle aziende è aumentata la consapevolezza della ‘capacità finita’ del trasporto e della necessità di introduzione del livello tattico di pianificazione, con estensione dei vincoli legati alla ‘capacità finita’ della logistica nel Sales and Operations Planning (S&OP).

Logistica 4.0: i progetti di Digitization, Automation, Analytics

Nell’ambito Logistica 4.0 le aziende si stanno concentrando principalmente su soluzioni per la raccolta e la gestione di informazioni digitali. Il 72% delle aziende ha realizzato almeno un progetto in questo ambito, tra tablet ai varchi di accesso, sistemi RFId o sensori che raccolgono dati in modo automatico inviandoli a un sistema informativo, o ancora, API per scambiare dati tra sistemi informativi diversi, e blockchain per notarizzare i dati raccolti consentendo la certificazione delle informazioni. Si rileva poi una buona diffusione dei progetti di Automation (32%) per gestire le attività: magazzini dotati di sensoristica avanzata o soluzioni basate su flotte di mobile robot per la movimentazione dei materiali. Quanto ai progetti di Analytics (14%), nei casi più avanzati consentono di aggregare/organizzare moli di dati, produrre previsioni con AI o simulazioni basate su dati real-time, e applicare concetti di digital twin al processo logistico per valutare diversi scenari.

Per le imprese vitivinicole italiane il futuro è digitale 

Per le piccole imprese vitivinicole il digitale è la chiave per accrescere la competitività, in Italia e sui mercati esteri. Si tratta di un settore produttivo composto per più del 92% da piccole imprese, dove il 74,7%, circa 46.000 aziende vinificatrici, è rappresentato da aziende che producono meno di 100 ettolitri di vino all’anno, ovvero, meno di 15.000 bottiglie da 0,75 litri. Il 17,5% riguarda invece le realtà che producono più di 100 ettolitri, ma meno di 1000, mentre sono meno di 100 (0,2%) le imprese in Italia che producono più di 13.000 bottiglie di vino annue, oltre i 100.000 ettolitri, pur rappresentando il 41,8% della produzione nazionale di vino.

Una grande opportunità per il settore

TeamSystem ha commissionato a Wine Meridian una ricerca per sondare il livello di digitalizzazione di queste imprese. Sono state coinvolte 230 realtà, di cui più della metà (51%) con un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro l’anno e meno di dieci dipendenti (52%). La ricerca evidenzia come il digitale sia visto dalle imprese campione come una grande opportunità, con solo il 7,1% che ritiene abbia solamente un ruolo marginale nel settore vitivinicolo. A fronte di questo gruppo di scettici, la maggior parte degli intervistati crede nel digitale. Oltre a chi afferma di puntare sul digitale già da anni, un 44,4% è convinto che rappresenti il futuro del settore, mentre il 30,3% sta iniziando in questo momento a intraprendere il proprio percorso di trasformazione digitale e a trarne i primi benefici.

Dall’e-commerce al monitoraggio delle attività in cantina

Considerando la crescita costante registrata dall’e-commerce negli ultimi anni, per il 60% delle imprese questo rappresenta uno dei fattori su cui la digitalizzazione influisce maggiormente. Non meno importante è la volontà di digitalizzare tutto il processo di produzione (40%). Se il 77% del campione si è già dotato di un software gestionale per la contabilità aziendale, e le operazioni di magazzino sono seguite tramite gestionale dal 57%, passi avanti restano ancora da fare per quel che riguarda il monitoraggio delle attività in cantina. Queste ultime, infatti, sono monitorate grazie ad applicativi gestionali (MES, PLM) soltanto dal 34% degli intervistati, contro il 48% che utilizza ancora strumenti o database locali (come i fogli di calcolo Excel), il 12% che si affida a sistemi manuali, e il 6% che dichiara di non tracciare affatto i flussi operativi della propria cantina.

Digitalizzare l’enoturismo

Spazio di crescita resta anche nella digitalizzazione dell’enoturismo, fenomeno sempre più importante per i produttori. Molte piccole aziende non hanno ancora digitalizzato l’enoturismo (37%), mentre altre si affidano a portali web, dove le grandi aziende si avvalgono ormai per la maggior parte di sistemi CRM. La ricerca evidenzia inoltre come quasi un imprenditore vitivinicolo su 3 (31%) non è a conoscenza dell’esistenza degli incentivi statali per la digitalizzazione, mentre il 15% dichiara di non essere intenzionato ad accedervi perché troppo onerosi da ottenere, considerando lo sforzo di investimento iniziale richiesto.

Settimana della moda: il conversato web di Parigi e Milano a confronto

Il team digital & social listening di BVA Doxa, tramite la piattaforma Talkwalker, ha comparato il conversato relativo alla settimana della moda di Milano e Parigi. La moda è un argomento tra i più diffusi sui social, da sempre attenti alle nuove tendenze in ambito fashion, e la conclusione della Parigi Fashion Week, avvenuta lo scorso 4 ottobre, offre l’opportunità di fare un bilancio. Di fatto, la share of voice relativa alle rispettive Fashion Week segna la netta predominanza del conversato generato da Parigi, che tra blog, news, social network e forum copre il 77% del traffico complessivo attinente i due eventi.

La Fashion Week parigina ha generato oltre 71mila post in un giorno

Per storia e tradizione la Fashion Week di Parigi è da sempre considerata l’appuntamento più prestigioso, poiché vanta il calendario più lungo e un maggior numero di maison partecipanti. La maggior risonanza prodotta dalla Fashion Week parigina appare ancora più evidente dall’andamento del conversato nel tempo, che raggiunge il picco massimo il 2 ottobre, con oltre 71mila post, mentre la Fashion Week milanese stabilisce il suo record il 23 settembre (13.000 risultati).  Altri fattori hanno però contribuito ad alimentare ulteriormente il conversato in rete intorno a questo evento. La Parigi Fashion Week punta molto su Instagram (oltre 740mila follower) e non fa ricorso a Facebook, agganciandosi ai canali della Fédération de la Haute Couture et de la Mode, come Twitter (12,4mila utenti).

I canali social della moda milanese: Twitter, Facebook e Weibo

La Milano Fashion Week nel suo sito web rimanda invece a un unico account, quello su Twitter (oltre 17,3mila follower), e sfrutta i canali della Camera di Commercio della Moda, come Facebook (oltre 110mila seguaci), mentre Instagram è ancora inattivo. Entrambe le manifestazioni hanno aperto però un canale su Weibo, il social network più diffuso nella Repubblica Cinese. A determinare il boom di conversato sulla Parigi Fashion Week sono però anche gli account social delle personalità koreane del mondo K-Pop, un trend già rilevato, seppur in misura più contenuta, anche durante la Fashion Week milanese. Un’altra motivazione è ricondotta al clamore mediatico suscitato dal video della sfilata finale del brand Coperni, al centro del post più interagito sulla Parigi Fashion Week. La clip, pubblicata sul canale TikTok di Vogue Magazine, ha totalizzato oltre 10 milioni di visualizzazioni, e più di 1,4 milioni di like.

TikTok, la GenZ e i contenuti virali

Anche nel caso della Fashion Week di Milano il fattore ‘wow’ ha esercitato il suo fascino sul pubblico social: il contenuto che ha generato l’engagement maggiore riguarda la sfilata di Gucci. Il post su TikTok ha generato 20 milioni di visualizzazioni e più di 540mila like. Non è un caso che i contenuti più virali del web provengano da TikTok: il mondo della moda è il comparto che forse più di tutti sta sfruttando le potenzialità del social per parlare al pubblico della GenZ, il più attento alle nuove tendenze. Tanto che spesso è fonte di ispirazione per le case di moda alla ricerca di nuovi trend, e rappresenta la clientela del futuro. 

Terziario: si accentua il gender gap e aumentano i fabbisogni formativi

Le donne che lavorano nel settore Terziario ricorrono più spesso al part time e hanno minori possibilità di avanzamento di carriera, restando ancora in netta minoranza nel middle management.  Inoltre, la conoscenza delle tecnologie ha assunto un ruolo decisivo nel processo di vendita, e lo sviluppo di nuove competenze è diventata una necessità avvertita da tutti i quadri del settore, con il 66% delle aziende che ha reagito alle restrizioni puntando sull’e-commerce.
Sono alcuni dati emersi dalla ricerca sull’evoluzione del mercato del lavoro nel settore terziario, commissionata da Quadrifor, l’Istituto per lo sviluppo della formazione dei quadri del Terziario, ed Ebinter, l’Ente bilaterale nazionale del Terziario.

La distanza retributiva resta marcata

La distanza retributiva tra i due sessi appare ancora marcata, con significative differenze in base a titolo di studio, età, posizione geografica dell’azienda e settore di appartenenza. Tra coloro che hanno un contratto a tempo pieno e un titolo di studio elevato aumenta il divario tra la busta paga di uomini e donne, mentre non produce sostanziali differenze in caso di tempo parziale. Il divario maggiore si registra nel settore dei Servizi, e tra coloro che aderiscono ai Ccnl di Confcommercio e Federdistribuzione. Le donne che lavorano, part time, invece guadagnano più dei colleghi uomini. La differenziazione per genere è ancora più evidente tra i quadri. Per le donne la crescita retributiva si arresta, infatti, nell’intervallo tra i 35 e i 44 anni, per gli uomini raggiunge l’apice tra i 45 e i 54 anni.

L’impatto della digitalizzazione sui quadri

Anche le aziende del Terziario hanno accelerato la trasformazione digitale. Per alcune imprese si è trattato di ottimizzare gli sforzi organizzativi, per altre di attrezzarsi in tempi rapidi per restare competitive. I quadri, chiamati a gestire gruppi di lavoro sempre più spesso a distanza, si sono trovati in prima linea nel dover gestire i cambiamenti organizzativi. Le restrizioni patite dai canali di vendita hanno poi accelerato alcune importanti innovazioni e cambiamenti. Le potenzialità della vendita online hanno tracciato un solco profondo: che svolga il suo lavoro come assistente online, o che lo faccia nel punto vendita, il retailer deve conoscere entrambi i sistemi, integrare i processi e utilizzare le tecnologie digitali. In breve è diventato una figura ‘anfibia’, che opera tra il fisico e digitale.

L’importanza di formare i dipendenti

La scelta di formare i dipendenti è stata presa dal 47% delle imprese. I corsi di formazione si sono concentrati soprattutto su marketing (47,5%), customer care (44,7%), strategie di fidelizzazione cliente (36,2%) e social media management (34,8%). Il 68,3% dei quadri ha seguito i corsi di formazione da remoto. Tuttavia, restano ampi aspetti su cui i middle manager del terziario sentono di aver bisogno di maggiore preparazione. Ai primi posti ci sono la capacità di pensiero strategico in un’ottica di miglioramento continuo (36,3%), seguita dalla capacità di ‘fiutare’ il cambiamento, immaginando nuovi scenari e anticipando i bisogni dei clienti (35,3%).

Lavoro: nei primi 6 mesi 2022 aumentano le dimissioni

La conferma arriva dall’indagine InfoJobs Attraction Retention: nel primo semestre 2022 il 60,1% delle aziende italiane riscontra un numero maggiore di dimissioni rispetto al 2021.  A inizio anno, il 41,1% delle aziende indicava come la sfida più importante fosse quella di attrarre e trattenere i talenti, leva chiave per la competitività in un mercato sempre più difficile, con le dimissioni in crescita e difficoltà a trovare personale qualificato.
Per i responsabili HR i motivi dell’aumento delle dimissioni sono riconducibili a diversi fattori: un ritrovato coraggio di cambiare lavoro e una nuova consapevolezza delle priorità da parte dei professionisti (30,3%), e soprattutto da parte dei giovani, la ricerca di nuove opportunità di carriera e un miglior bilanciamento tra vita privata e professionale (29,8%). 

Come rispondono le aziende?

Il 30,4% delle aziende dichiara però di non intraprendere azioni concrete per trattenere i talenti, soprattutto per il fattore economico (17,9%), anche se il 69,6% dichiara di avere programmi ad hoc. Primo tra tutti (45,9%), il pacchetto welfare aziendale (formazione continua, lavoro agile, benefit e percorsi di crescita), seguito dall’impegno per un modello organizzativo più partecipativo (37,6%), percorsi di carriera chiari e concreti (33,8%), percorsi di formazione professionale (33,1%), e attività di team finalizzate alla costruzione di un clima collaborativo e di fiducia (27,1%). Secondo gli HR, per sottrarre o attirare talenti si utilizzano il fattore economico (60,2%), un migliore equilibrio vita privata-lavoro (17,2%), la possibilità di carriera (11,7%) e il caring (10,9%).

Cosa pensano i lavoratori? 

Dall’indagine emerge un generale malcontento: l’80,9% dei dipendenti non consiglierebbe l’azienda per la quale lavora, a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante (52,1%), stipendio e benefit poco soddisfacenti (28,8%). E il 66,7% non si sente valorizzato. Uno scenario alimentato, soprattutto, dalla decisione di assumere risorse esterne all’azienda anziché valorizzare le potenzialità interne (37,6%). Aziende e candidati confermano che la leva economica è essenziale per acquisire talenti o restare. Il 52,7% dei dipendenti afferma infatti che la propria soddisfazione migliorerebbe a fronte di un salario più adeguato e in crescita nel corso degli anni, parallelamente a un percorso di carriera ben sviluppato. Smartworking, orario flessibile, una leadership che supporti e valorizzi le proprie risorse, sono altri fattori fortemente motivanti, sostenuti dal 22,3% degli intervistati.

Prospettive per il futuro 

Le aziende dovranno fare i conti con dimissioni in caso di scarsa motivazione e poca considerazione dei dipendenti (38,3%), riporta Adnkronos. Dovranno quindi modificare l’approccio culturale, ascoltando maggiormente (31,2%) e dialogando con i dipendenti per trovare punti di incontro (25%). L’orizzonte temporale a 5 anni restituisce la fotografia di candidati che si vedono impegnati nella ricerca del nuovo, spinti dalla voglia di crescere e imparare (41,7%), nei panni di imprenditore (37,2%), o in un’azienda più affine alle proprie caratteristiche (13,2%). Solo il 7,9% ‘si vede’ nella stessa azienda, di cui apprezza l’ambiente di lavoro e l’attenzione ai dipendenti, ma in una posizione di maggiore responsabilità.

2021, anno d’oro per la nautica italiana

C’è un settore che ha registrato delle performance eccezionali nel corso del 2021: è quello della nautica. A confermarne il successo è stata la nuova edizione di Nautica in Cifre – Log, l’annuario statistico realizzato dall’Ufficio Studi di Confindustria Nautica in partnership con Fondazione Edison, presentato durante il Salone Nautico di Genova. Entrando nel merito dei risultati, si scopre che l’anno scorso il comparto ha messo a segno il migliore incremento di fatturato di sempre e l’anno nautico concluso ha assicurato solide prospettive anche per il 2022, consolidando una crescita strutturale. 
“Considerando gli scenari economico-politici che stiamo attraversando – con forti criticità sul fronte dell’approvvigionamento delle componenti, imprevedibili fluttuazioni dei prezzi e della disponibilità delle materie prime e una sempre più evidente scarsità di manodopera specializzata” si legge in una nota “si tratta di un risultato eccezionale per le nostre imprese. I numeri sono chiari: il fatturato globale del settore è passato da 4,6 miliardi del 2020 a ben 6,1 miliardi del 2021. L’incremento registrato rispetto all’anno precedente è stato del +31,1%: un dato straordinario che consente non solo di compensare il lieve calo registrato nel 2020, ma di portare il fatturato del settore a livelli pressoché analoghi a quelli del biennio record del 2007-2008”.

Exploit delle esportazioni

Fra i fattori determinanti che hanno alimentato la crescita si deve annoverare l’exploit delle esportazioni della produzione cantieristica nautica, che nell’anno scorrevole terminato a marzo 2022 hanno toccato il massimo storico di 3,37 miliardi di euro, con gli USA primo mercato in assoluto per i nostri cantieri (485 milioni di euro, pari a una quota del 16,4%). Altri fattori determinanti sono i portafogli ordini dei cantieri italiani di yacht e superyacht, che per molti operatori coprono addirittura il prossimo triennio, e l’ottima performance dei comparti dell’accessoristica nautica e dei motori marini.

Aumentano gli addetti

Gli addetti complessivi sono saliti a 26.350 rafforzando ulteriormente il trend occupazionale positivo (+9,7% rispetto al precedente anno) che ha caratterizzato trasversalmente tutti i comparti del settore, con una particolare incidenza nella costruzione di nuove unità (+14,7%) in cui sono impiegati quasi la metà degli addetti complessivi del settore (14.710). Il contributo del settore della nautica al PIL nazionale è stato superiore ai 5,1 miliardi di euro nel 2021, in forte aumento (+31,4%) rispetto al dato 2020. Anche il peso del contributo della nautica al PIL in rapporto al PIL nazionale è cresciuto, passando dal 2,37‰ del 2020 al 2,89‰ nel 2021, a testimonianza della fase espansiva del settore.